Demenza, dall’intelligenza artificiale terapie personalizzate per i diversi profili di patologia. Nuova luce sui processi neurodegenerativi

Dott. Paolo Bosco

Pisa, 1 gennaio 2021 – L’intelligenza artificiale per arrivare ad una diagnosi più fine sulle demenze che colpiscono gli anziani e trovare non solo nuove terapie personalizzate, ma anche comprendere quale sia il ruolo delle infiammazioni cerebrali. E’ l’obiettivo dello studio per il quale dott. Paolo Bosco, ricercatore dell’IRCCS Fondazione Stella Maris, ha ottenuto un finanziamento di 450 mila euro nell’ambito della ricerca finalizzata del ministero della Salute dedicata ai giovani ricercatori.

Lo studio dal titolo: “Identificazione di biomarcatori di neuroinfiammazione e di imaging per mezzo di tecniche di intelligenza artificiale guidate dai dati, al fine di risolvere il problema dell’eterogeneità dei soggetti anziani a rischio di demenza e per disporre adeguate strategie preventive” avrà una durata triennale e oltre all’IRCCS Fondazione Stella Maris (FiRMLAB), coinvolgerà l’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana (Unità di Neurologia) e l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas (Laboratorio di patologia e patologia cerebrale) di Milano.

Giovane ricercatore
Paolo Bosco è un fisico, laureato all’Università di Torino, che fin dalla tesi di laurea ha applicato le tecniche della fisica alle immagini mediche, prima alle mammografie e poi, a Genova durante il Dottorato di ricerca, alle immagini di risonanza magnetica (RM) cerebrale di pazienti con malattie neurodegenerative.

Dopo tre anni al Fatebenefratelli a Brescia, è passato all’INFN di Pisa dove ha lavorato al progetto Arianna sulle immagini RM cerebrali dei bambini con autismo, fino ad approdare alla Fondazione Stella Maris, nel team diretto dalla dr.ssa Michela Tosetti, direttore del Laboratorio di Fisica Medica e Risonanza Magnetica, che da anni lavora per conoscere i meccanismi delle demenze e come rallentarli. Qui, da fisico che applica le tecniche di “machine learning”, il dr Bosco cerca di far parlare i dati, cercando quelle correlazioni tra diagnosi, cure e risultati con l’obiettivo di massimizzare l’efficacia delle terapie. Conoscenze che sono alla base dello studio premiato dal Ministero della salute.

Dove nasce lo studio scientifico
La ricerca parte da un assunto noto: i processi che portano alla demenza richiedono anni. Un tempo durante il quale avvengono graduali processi di cambiamento funzionale e alterazioni strutturali del cervello che solo ad un certo momento si manifestano con sintomi cognitivi. Due le tipologie di condizioni che, secondo la scienza, possono portare le persone a sviluppare una demenza.

Il primo, il declino cognitivo soggettivo – subjective cognitive decline (SCD) – in soggetti che riportano declino cognitivo senza mostrare alterazioni nei risultati dei test di valutazione clinica . Il secondo, i soggetti con disturbo cognitivo lieve – mild cognitive impairment (MCI) – che mostrano un declino cognitivo superiore a quello che ci si aspetterebbe in soggetti di medesima età e scolarità ma che non rientrano nei criteri definiti in letteratura per la demenza. I due stati (SCD e MCI) comprendono condizioni estremamente eterogenee tra loro a cui corrispondono velocità differenti nella progressione della malattia e l’insorgenza di tipologie differenti di demenza.

L’importanza delle neuroinfiammazioni
“Per questo – commenta il ricercatore – una stratificazione precoce di queste popolazioni a rischio può avere un ruolo fondamentale per l’identificazione e lo sviluppo di trattamenti terapeutici specifici (sia farmacologici che non farmacologici)”. Ma c’è di più. Negli ultimi anni è emerso il ruolo degli stati infiammatori nell’invecchiamento normale o patologico.

“Una crescente mole di ricerche – spiega il ricercatore – suggerisce che l’invecchiamento sia associato ad un’aumentata infiammazione cerebrale. Queste ricerche suggeriscono anche che l’infiammazione del sistema nervoso centrale possa agire come principale regolatore dell’invecchiamento sistemico. Infatti l’infiammazione cronica influisce negativamente sulla funzione neuronale, e diverse malattie neurodegenerative croniche come la demenza di Alzheimer e la malattia di Parkinson sono state associate a risposte infiammatorie anormali”.

Le cure
Sul versante delle terapie, al momento i trattamenti non farmacologici si sono dimostrati i più efficaci nella demenza di Alzheimer, mentre quelli farmacologici hanno mostrato efficacia solo per l’attenuazione dei sintomi. In particolare alcuni trial (come lo studio FINGER e lo studio Train the Brain, quest’ultimo sviluppato nell’ambito di una consolidata collaborazione con l’Istituto di Neuroscienze del CNR), che prevedevano un training di tipo sia cognitivo che fisico, hanno suggerito che un intervento di questo tipo è effettivamente in grado migliorare il mantenimento delle funzioni cognitive di soggetti ad alto rischio di demenza.

L’obiettivo
“I recenti e straordinari sviluppi nelle tecniche di intelligenza artificiale – conclude il dott. Bosco – sono una grande opportunità nel dipanare le fonti di eterogeneità di dati con alto numero di parametri (come quelli che prevedono misure di neuroimaging). In particolare, recenti tecniche hanno mostrato di poter identificare elementi comuni in sottogruppi di soggetti appartenenti a grandi coorti. Il nostro studio si propone di applicare queste metodiche per gettare nuova luce sui diversi meccanismi fisiopatologici coinvolti nei processi neurodegenerativi e aprire alla possibilità di interventi personalizzati per i diversi profili di patologia”.

Il campione
Lo studio recluterà a Pisa complessivamente 105 soggetti che verranno seguiti per un anno mezzo, durante il quale saranno valutati dal punto di vista cognitivo con test specifici, verranno sottoposti ad esame di risonanza magnetica cerebrale (all’inizio e alla fine dello studio) e saranno valutati dal punto di vista infiammatorio mediante semplici esami del sangue.

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