Cirrosi epatica, 20.000 decessi l’anno in Italia. Webinar su aderenza alle terapie, prevenzione e presa in carico

Padova, 16 novembre 2020 – Migliorare l’aderenza alla terapia, prevenire complicanze gravi come encefalopatia epatica e ascite, potenziare l’assistenza domiciliare, formare il paziente e il caregiver, rendere sostenibili le cure e aumentare la qualità e l’aspettativa di vita. Questi gli argomenti discussi, con i principali interlocutori del Veneto, durante il Webinar: “Focus La realtà italiana della cirrosi epatica in epoca Covid-19 tra terapie e impatto socio economico”, organizzato da Motore Sanità. Particolare attenzione è stata data alla necessità di prevenire l’encefalopatia epatica dato che è la più invalidante complicanza della cirrosi, causa di ripetuti ricoveri, di problemi per tutto il contesto familiare del paziente e di un aggravio dei costi per il SSN.

Paolo Angeli, Direttore Clinica Medica V Università di Padova ha spiegato come “la cirrosi e altre malattie epatiche croniche siano tra le principali cause di morbilità e mortalità a livello globale. Il “Global Burden of Diseases, Injuries, and Risk Factors Study (GBD)” ha segnalato che nel 2017 la cirrosi ha causato, nel mondo, più di 1,32 milioni di decessi totali (437.000 fra le femmine e 883.000 fra i maschi), rispetto a meno di 900.000 decessi globali nel 1990. I decessi dovuti a cirrosi hanno costituito il 2,4% dei decessi totali nel 2017 rispetto all’1,9% nel 1990. Nonostante un aumento del numero di decessi, il tasso di mortalità standardizzato per età è diminuito da 21,0 per 100.000 abitanti nel 1990 a 16,5 per 100.000 abitanti nel 2017. In Italia il numero assoluto di decessi ha avuto un forte incremento tra il 1960 e la seconda metà degli anni ’70, per poi mostrare una progressiva tendenza alla riduzione. Per effetto di questa tendenza, il tasso di mortalità annuo per cirrosi è sceso dal 17 per 100.000/abitanti nel 2004, al 9 per 100.000/abitanti nel 2014. Venendo poi ai dati relativi alla Regione Veneto, il tasso di mortalità per cirrosi standardizzato per età è passato dal 35,1 e 36,2 per 100.000/abitanti nel 2013 al 15,7 e 8,2 per 100.000 abitanti dal 2013 al 2017, rispettivamente nei maschi e nelle femmine. La cirrosi epatica comporta un notevole impegno delle strutture assistenziali. L’entità di questo impegno è andata progressivamente aumentando, a livello globale, dal 1990 ad oggi per effetto, almeno in parte, della crescita e dell’invecchiamento della popolazione. Va infatti segnalato un aumento significativo del tasso di prevalenza standardizzato per età della cirrosi scompensata tra il 1990 e il 2017. Per effetto di tale incremento, sono stati registrati nel 2017, a livello globale, 10,6 milioni di casi prevalenti di cirrosi scompensata e 112 milioni di casi prevalenti di cirrosi compensata. La prevalenza standardizzata per età di pazienti con cirrosi compensata e scompensata dovuta a NASH è aumentata più che per qualsiasi altra causa di cirrosi (del 33,2% per la cirrosi compensata e del 54,8% per quella scompensata). Non disponiamo di dati analoghi in Italia e nella Regione Veneto. Tuttavia, per quest’ultima, va segnalato che i ricoveri urgenti legati alla malattia epatica sono risultati 11.000-12.000 per anno nel periodo tra il 2006 e il 2008, motivati più frequentemente da ascite (30%) ed encefalopatia epatica (30%)”.

“Considerato l’incremento attuale dei contagi del virus SarsCov-2 siamo molto preoccupati per i pazienti con cirrosi epatica perché dovrebbero effettuare controlli e procedure sanitarie a cadenza periodica e molto spesso questi esami si svolgono in ambito ospedaliero. Sono oltre 100.000 i pazienti con cirrosi e malattia avanzata già curati dall’epatite C ma ancora a rischio di sviluppare un tumore del fegato, inoltre, ci sono almeno altri 100.000 casi correlati ad altre patologie come alcol, obesità, epatite B, ecc. La preoccupazione vale anche per anche per tutti i pazienti con malattia avanzata che devono iniziare una qualunque terapia, ad esempio per l’eradicazione del virus dell’epatite C. Un recente studio (Kondili LA, Marcellusi A, Ryder S, Craxì A. Will the COVID-19 pandemic affect HCV disease burden? Digestive and Liver Disease, 2020 52(9). https://doi.org/10.1016/j.dld.2020.05.040) ha stimato che ritardare l’inizio delle cure di 12 mesi, decuplica le complicanze e i decessi nei 5 anni successivi. È quindi indispensabile indicare quali sono le prestazioni differibili da quelle indifferibili in questi pazienti ad alto rischio di complicanze. Le cure e il monitoraggio dei malati cronici a rischio dovrebbero continuare attraverso approcci innovativi come il telemonitoraggio e la telemedicina oppure decentralizzando esami e prestazioni spostandoli dall’ospedale al territorio per evitare di esporre i pazienti fragili a rischi inutili. Sarebbe anche di grande aiuto semplificare gli atti burocratici come rinnovare automaticamente i piani terapeutici, consentire il ritiro dei farmaci ospedalieri presso la farmacia di fiducia o consegnarli direttamente a casa, incrementare le confezioni erogabili e tutte le altre modifiche di natura amministrativa che possono incidere positivamente sulla qualità di vita di pazienti cronici che devono restare sempre più protetti e monitorati come raccomandato da tutti gli esperti”, ha detto Ivan Gardini, Presidente EPAC.

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