Un gruppo di ricercatori di Scuola Sant’Anna, Normale, Università di Bologna e Pennsylvania State University ha analizzato le pubblicazioni di un campione di fisici lungo 30 anni, svelando i criteri che guidano lo sviluppo e la diversificazione delle linee di ricerca. Lo studio è stato pubblicato su Scientific Reports
Roma, 1 settembre 2020 – Produrre nuova conoscenza diventa sempre più complesso. Con quale criterio dunque gli scienziati scelgono i temi sui quali concentrarsi? Un team di ricercatori della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, della Scuola Normale Superiore, dell’Università di Bologna e della Pennsylvania State University ha risposto a questa domanda analizzando le pubblicazioni scientifiche di un vasto campione di fisici lungo un orizzonte temporale di più di trent’anni, tra il 1977 e il 2009.
I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Scientific Reports e suggeriscono che le scienze moderne sono profondamente legate alle connessioni sociali. Quando gli scienziati si allontanano dalla loro specializzazione principale, lo fanno sfruttando collaborazioni.
I fattori che guidano scoperte scientifiche e tecnologiche sono molteplici, ma le scelte degli scienziati sono di certo influenzate da due meccanismi generali: una “tensione essenziale”, già proposta da Thomas Kuhn negli anni ’70, che caratterizza il trade-off tra exploration ed exploitation, e il crescente “onere della conoscenza” che spinge i singoli ricercatori a optare per specializzazioni di nicchia e a lavorare in team, per tenere il passo con un sempre più veloce sviluppo scientifico.
L’obiettivo dello studio è stato dunque identificare e quantificare i diversi fattori che incidono sulle scelte individuali delle linee di ricerca e, in particolare, il ruolo della similarità tra gli argomenti e delle connessioni sociali tra i ricercatori.
“Sfruttando strumenti innovativi di network e data science, abbiamo costruito una misura di similarità tra argomenti e una misura di prossimità sociale per poter testare se, e come, questi fattori influenzano le strategie di diversificazione degli scienziati. Entrambe le variabili giocano un ruolo significativo, ma le interazioni sociali emergono come principale mezzo di scambio ed acquisizione di nuova conoscenza”, come afferma Giorgio Tripodi, primo autore dello studio e dottorando in Data Science, programma congiunto promosso da Scuola Normale Superiore, Università di Pisa, Scuola Superiore Sant’Anna, Scuola IMT Alti Studi Lucca e CNR.
“I dati ci mostrano anche in maniera evidente – continua Giorgio Tripodi – come le collaborazioni modulino il trasferimento di conoscenza; tanto più ci si allontana dalla propria specializzazione tanto più rilevanti diventano le interazioni con gli altri scienziati”.
“Tracciando le pubblicazioni scientifiche di circa 200.000 fisici, attivi in 9 campi e 68 sottocampi di ricerca, notiamo che le strategie di diversificazione sono caratterizzate da tratti comuni. Abbiamo usato diverse tecniche statistiche per valutare e per quantificare gli effetti della similarità tra gli argomenti di ricerca e della prossimità sociale, controllando che tali stime non siano influenzate da altre variabili potenzialmente significative”, aggiunge Francesca Chiaromonte, autrice dello studio e docente di Statistica alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e alla Pennsylvania State University, coordinatrice scientifica del Dipartimento di Eccellenza EMbeDS (Economics and Management in the era of Data Science) alla Scuola Superiore Sant’Anna.
“Gli sviluppi recenti nelle scienze e nelle tecnologie dipendono in modo fondamentale da progetti di natura collaborativa. I dati a nostra disposizione mostrano che le interazioni tra scienziati, e dunque la nostra misura di prossimità sociale, spiegano circa il 30 per cento delle strategie di diversificazione degli scienziati, mentre la prossimità tra campi di ricerca, quindi la scelta di investigare un campo ‘vicino’ a uno conosciuto, spiega solo il 10 per cento”, chiarisce Fabrizio Lillo, autore dello studio e docente di Metodi matematici per l’Economia e la Finanza all’Università di Bologna e alla Scuola Normale Superiore.
In termini di implicazioni operative, lo studio sottolinea l’importanza di facilitare le interazioni tra scienziati con differenti specializzazioni, che possono avere un ruolo cruciale per lo sviluppo di linee di ricerca innovative. Conoscenze e capacità individuali restano imprescindibili ma lavorare in team, in particolare con esperti in campi diversi dal proprio, risulta oggi fondamentale.
“In qualche modo questo studio è una conferma delle sue stesse conclusioni – commenta Francesca Chiaromonte – e Giorgio Tripodi, primo autore dello studio, è uno degli studenti del primo ciclo del programma di dottorato in Data Science, coordinato da Dino Pedreschi, docente di Informatica all’Università di Pisa, nato nel 2017 appunto per favorire collaborazioni interdisciplinari tra Scuola Normale Superiore, Università di Pisa, Scuola Superiore Sant’Anna, Scuola IMT Alti Studi Lucca e CNR”.
Link allo studio: https://www.nature.com/articles/s41598-020-71009-7