Roma, 30 luglio 2020 – La diffusione della Covid-19, da un lato, ha portato a forti raccomandazioni riguardo a un certo tipo di prevenzione, relativa soprattutto all’igiene e ai contatti interpersonali. Ma dall’altro ha fatto perdere di vista altre patologie croniche che affliggono gran parte della popolazione italiana e mondiale. Il diabete di tipo 2 in Italia colpisce quasi 5 milioni di persone (dati ISTAT 2016: circa 4 milioni di soggetti con diabete noto e più di 1 milione che non ha percezione della malattia).
Durante lockdown anche per i pazienti diabetici ci sono state poche visite e un incremento della telemedicina e della digitalizzazione. Solo dalla fine di maggio gli ambulatori hanno riaperto e l’attività è ripresa regolarmente.
“In questi mesi – sottolinea il prof. Bruno Solerte, Professore di Medicina Interna all’Università di Pavia – il paziente diabetico è stato spesso oggetto di particolare attenzione in quanto soggetto fragile esposto all’infezione da Sars-Cov-2, viste anche le gravi conseguenze, soprattutto a livello cardiovascolare e nefrologico, a cui è esposto. Il diabetico, infatti, è molto a rischio a causa del suo substrato biochimico che attira il virus, così come avviene negli anziani. Questa tipologia di soggetti deve pertanto essere controllata più attentamente”.
“Anche il diabete può essere definito come una pandemia – evidenzia Renata Ghelardi, Responsabile del Centro di diabetologia dell’ASST di Melegnano-Martesana di San Giuliano Milanese – Pur non avendo vaccini, possiamo fare prevenzione intervenendo sugli stili di vita, che, se non corretti, possono diventare fondamentali nel determinare la malattia insieme ai fattori genetici che predispongono al diabete di tipo 2. Quest’ultimo infatti è molto sensibile alle buone abitudini quali una sana alimentazione e un’attività fisica regolare che riducono in maniera significativa l’insulino resistenza creando un migliore assetto metabolico. L’attività fisica, diventa dunque uno strumento di gestione del diabete ancora più efficace della terapia farmacologica. Il lavoro muscolare infatti consuma zucchero abbassando di conseguenza i valori glicemici e migliorando in modo considerevole la sensibilità all’insulina”.
L’attività fisica deve essere eseguita in maniera regolare: non è sufficiente muoversi, ad esempio, per faccende domestiche, ma è necessario un movimento ripetuto, regolare, fatto con l’obiettivo di produrre un’attività strutturata. Solo così è possibile ottenere gli effetti voluti e ridurre in maniera importante il rischio di sviluppare il diabete.
“Bisogna abbandonare l’approccio generico e sviluppare un impegno regolare, strutturato – ribadisce la dott.ssa Ghelardi – Noi medici specialisti dobbiamo impegnarci a spiegare al paziente come fare questa attività: in generale si consigliano almeno 150 minuti a settimana di attività fisica aerobica di moderata intensità, suddivisa in tre giornate. Importante non fare passare più di 2 giorni senza muoversi. Ci deve essere un incremento graduale nel tempo. L’efficacia maggiore per ciò che riguarda la glicemia, si ha mediante una combinazione tra attività aerobica e attività contro-resistenza. Poi ovviamente dipende dal tipo di paziente e dalle terapie in corso. Il ‘motto’ che adottiamo nel nostro centro è che tutti possono fare attività fisica! Anche le persone disabili a seconda della loro disabilità, verranno indirizzati ad esercizi di attività differenti e personalizzati. Queste raccomandazioni sono molto importanti soprattutto in questi mesi successivi al lockdown: a seguito di questa fase, abbiamo notato gravi regressioni. Adesso consigliamo di riprendere almeno un’attività aerobica, con camminata e corsa. Si può anche partire con una camminata tra i 20 e i 40 minuti, fatta con ritmo sostenuto. Anche piccole attività casalinghe possono aiutare, come alzarsi da una sedia per 20 ripetizioni, fare i pesi con le bottiglie d’acqua o altri movimenti semplici , purché ben strutturati e svolti regolarmente”.
Il lockdown ha condizionato anche l’altro cardine dello stile di vita che influisce sulla prevenzione e sulla cura del diabete: l’alimentazione. In questo caso, la pandemia ha avuto effetti alterni: non mancano infatti casi in cui l’alimentazione ha beneficiato della quarantena. Attenzione nella spesa, regolarità nei pasti, cottura di piatti più sani sono diventate spesso pratiche diffuse. Per questi soggetti adesso l’importante è non perdere le buone abitudini.
“L’alimentazione è fondamentale per mantenersi in salute, controllare il peso e correggere l’eventuale iperinsulinismo – evidenzia Nadia Cerutti, responsabile dell’UOSD Medicina a indirizzo dietologico di ASST Pavia – Tra le diete, un posto di primo piano lo merita come sempre quella mediterranea: sembra ovvio, ma analizzando le conoscenze reali dei pazienti emerge una scarsa conoscenza. Con questo approccio si intendono alimenti di origine vegetale, cereali integrali, tutti cibi che siamo sempre meno abituati a mangiare, spesso perché richiedono tempi lunghi nella preparazione. Bisogna poi puntare sulla qualità degli alimenti: ciò non implica necessariamente costi superiori, anzi, in alcuni casi, come ad esempio i legumi al posto della carne, economicamente può venirne fuori un risparmio. La dieta mediterranea e i cibi che il nostro territorio ci mette a disposizione devono essere sempre il primo punto di riferimento. Esistono anche terapie dietetiche, come la dieta chetogenica, da prescrivere a pazienti particolari mediante protocolli specifici da seguire sotto stretto contatto medico”.
Il ruolo del nutrizionista nel paziente diabetico è fondamentale, affinché a parlare di alimentazione sia chi ha una formazione specifica. È un altro momento della visita, non rientra nei compiti ordinari del diabetologo, che ha un altro tipo di formazione. Occuparsi di nutrizione nel diabete non significa dare una dieta prestampata, ma programmare nel tempo degli incontri regolari, anche per risolvere eventuali problemi contingenti.
“Spesso si parla di dieta senza una completa visione del fenomeno, in cui risiede una forte componente psicologica – aggiunge la dott.ssa Cerutti – Diverse persone alla prima visita diabetologica hanno paura di affrontare il discorso nutrizionale, poiché temono di dover stravolgere le loro abitudini, magari di non poter più mangiare pasta o di non poter mettere lo zucchero nel caffè. L’alimentazione fa parte dello stile di vita di un paziente. L’obiettivo deve essere quello di lavorare non con le diete, ma con l’educazione alimentare dei pazienti: bisogna cambiare le cattive abitudini, non si può intervenire con degli stravolgimenti nella vita degli individui”.