Roma, 16 maggio 2020 – A volte davanti al dolore che si irradia dalla schiena il paziente non riesce bene a distinguere se il problema sia a carico della colonna o dell’anca. Sia l’età, che il tipo di lavoro, ma anche gli sport estremi o eseguiti senza una preparazione graduale, possono provocare danni che a volte si risolvono attraverso trattamenti non chirurgici, mentre altre volte non resta altro che l’invio in sala operatoria. Per approfondire l’argomento, l’agenzia Dire ha intervistato via Skype il prof. Ciro Villani, responsabile di Ortopedia e Traumatologia del Policlinico Umberto I di Roma.
A volte si accusano dolori, ma non si comprende bene se interessano la schiena oppure l’anca. Quali sono i sintomi tipici di un problema all’anca?
“Molto spesso non si riescono a distinguere bene le due cose perché non è infrequente che compaiano associate. Sia i problemi alla schiena che all’anca sono infatti spesso interconnessi e si manifestano insieme. Va fatto un esame obiettivo e corretto per capire quali delle due problematiche è preponderante. Per comprendere se il dolore afferisce all’anca, un elemento caratteristico è quando ci si alza dalla sedia ad esempio. Se il problema è l’anca ed è di tipo artrosico, il dolore compare all’inizio del movimento. Un esempio tipico è la mattina, ci si alza dal letto e parte il dolore. Anche una sofferenza a livello dell’inguine è un segnale tipico, se a questo poi ci si associa una riduzione dell’arco di movimento dell’anca stessa, molto probabilmente è l’anca la principale responsabile della sintomatologia dolorosa. Il dolore spesso in questi casi si irradia al ginocchio, lunga la faccia laterale della coscia o verso il pube. Bisogna fare in modo di non confondere le sintomatologie anche se spesso, come dicevo, queste si presentano in modo associato”.
Quali sono i trattamenti non chirurgici per alleviare il disturbo? E in questo senso che ruolo gioca la riabilitazione?
“In tutte le patologie e fasi iniziali il trattamento è sempre di tipo non chirurgico e quindi si fa ricorso ad una terapia farmacologica o di tipo riabilitativo. La prima può essere di tipo multimodale ovvero utilizzare antinfiammatori, antidolorifici, che nutrono la cartilagine o altri prodotti che utilizzano l’acido ialuronico. I primi sono sintomatici mentre i secondi sono deputati a lubrificare l’articolazione o come precursori per la ricostruzione della cartilagine. Nelle fasi iniziali questi potrebbero dare qualche utilità ma non sempre accade. Man mano che si va avanti nel tempo e la sintomatologia persiste o si aggrava, bisogna optare per la chirurgia. La riabilitazione è importante perché si dice che il movimento nutre l’articolazione. Infatti spesso il paziente avverte il dolore all’inizio del movimento, poi scompare proprio perché il movimento, lubrificando la cartilagine, fa in modo che il dolore scompaia per poi riapparire. La riabilitazione, come la chinesiterapia associata a delle terapie fisiche a scopo antalgico – penso alla ionoforesi o alla tecar e altri trattamenti del genere – aiutano sicuramente il paziente a stare meglio”.
Nelle donne, soprattutto verso la menopausa, il dolore cronico può indicare anche un principio di artrite. In questo caso qual è la cura?
“Quando si parla di artrite si parla ancora una volta di infiammazione quindi il trattamento è di tipo antinfiammatorio che può andare dal cortisonico, ai fans e agli antidolorifici. Tutto ciò va monitorato anche attraverso esami di laboratorio perché sicuramente la Ves o la Pcr, ci indicano a seconda dei valori se l’artrite è in atto e dall’altra parte se il piano terapeutico prescritto è efficace oppure no”.
Pensando ai più giovani, magari sportivi, le tendiniti e le borsiti non sono infrequenti. A cosa stare attenti, visto che nella fase 2 ripartono gli allenamenti, e anche in questo caso quali sono i trattamenti indicati?
“Nei giovani l’articolazione dell’anca è maggiormente interessata da over use, ci sono problematiche che interessano i tessuti periarticolari come i tendini, i muscoli e i tessuti che stanno intorno all’articolazione, come i legamenti e la capsula. Questi possono entrare in sofferenza quando un soggetto inizia un’attività sportiva senza un allenamento efficace e preventivo, oppure fanno un’attività esasperata che crea scompenso proprio ai tessuti periarticolari. Si parla spesso di pubalgia, di contrattura degli adduttori, di borsite del trocanere, tendiniti inserzionali. Inoltre è conosciuto anche l’impingement femoro-acetabolare. Il femore e l’acetabolo nei movimenti estremi, come nel caso degli sport ad alto impatto, possono entrare in conflitto e originare una sintomatologia dolorosa. È importante iniziare le attività sportive preparandosi gradatamente perché i tessuti non sono preparati a sforzi immediati, insomma ci vuole sempre una preparazione. Non c’è peggior sportivo che quello della domenica che pensa, senza preparazione specifica, di fare 40 chilometri di marcia. Se ci si prepara le strutture muscoloscheletriche reagiscono bene, altrimenti si rischiano rotture tendinee o muscolari dovute a stress. Ogni età ha una sua caratteristica patologica quasi sempre. Quindi, per prima cosa lo specialista deve pensare alla patologia che è più tipica di quell’età specifica del paziente per orientarsi nella diagnosi. I soggetti in menopausa infatti, come dicevamo, soffrono di artrite, i giovani accusano dolori periarticolari, mentre l’anziano può avere problemi artrosici o di osteoporosi che predispone a problematiche più gravi come le fratture del collo del femore. Una volta che lo specialista esclude la patologia più frequente per quella classe specifica d’età del suo paziente, può pensare alle altre probabili cause di problemi”.