Prof. Paolo Calabresi, Ordinario di Neurologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore e Direttore della UOC di Neurologia della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS: “Prestare attenzione ai pazienti che arrivano in pronto soccorso, apparentemente non per problemi respiratori o polmonite, ma per segni neurologici che possono essere ricondotti all’infezione da Covid-19”
Roma, 15 aprile 2020 – Il coronavirus non è solo la ‘malattia che toglie il respiro’. Nessun organo può dirsi al sicuro infatti. E dopo le complicanze cardiovascolari, ad attirare prepotentemente l’attenzione dei medici, anche per la loro potenziale gravità, sono quelle neurologiche. Si, perché – lo si sta imparando sul campo giorno dopo giorno – anche uno stato confusionale o le convulsioni, possono corrispondere ad altrettante manifestazioni dell’infezione da nuovo coronavirus, che può esordire anche così.
Ed ecco perché i neurologi italiani, che hanno acquisito una notevole esperienza sul campo, invitano i colleghi americani in questi giorni nel pieno dell’epidemia, a fare molta attenzione ai pazienti che arrivano in pronto soccorso con sintomi neurologici, anche se sfumati e di difficile inquadramento. A Brescia e in tante città del nord sono state attivate delle unità ‘Neuro-COVID-19’ dove vengono ricoverati pazienti con un quadro simil-encefalite da COVID-19.
Le manifestazioni neurologiche da COVID-19: un problema finora sottovalutato
Le complicanze neurologiche sono appannaggio fortunatamente di una minoranza di pazienti, di solito anziani o con patologie croniche concomitanti. Ma dopo le prime pubblicazioni scientifiche, nell’arco delle ultime settimane, si stanno moltiplicando le segnalazioni di questi casi e uno studio cinese sostiene che sintomi neurologici (eventi cerebro-vascolari, alterazioni dello stato di coscienza e alterazioni muscolari, documentate ad un aumento dei livelli di CPK) sono presenti nel 36% dei pazienti con infezione da coronavirus.
I sintomi neurologici nei pazienti COVID positivi possono manifestarsi come ictus nel 6% dei casi (il virus influenza profondamente i meccanismi della coagulazione), come alterazioni dello stato di coscienza (confusione, stato soporoso, ecc) nel 15% e come danno muscolare nel 19%. Altri pazienti presentano uno strano e persistente formicolio alle mani e ai piedi (acroparestesia) e sintomi da encefalite.
Insomma in pronto soccorso è bene aver presente che il virus può manifestarsi anche con questi quadri, così da far valutare subito il paziente al neurologo e da separarlo subito dagli altri per evitare di diffondere il contagio in caso di positività.
Attraverso quali meccanismi il SARS CoV-2 danneggia il sistema nervoso
L’esame del liquor in questi pazienti è in genere negativo; e questo suggerisce che il virus non attraversa la barriera emato-encefalica e quindi non provocherebbe meningiti o encefaliti virali (come fa invece ad esempio l’herpes virus). Ma non si può escludere che in qualche caso il virus riesca ad arrivare al cervello, magari risalendo dai neuroni del bulbo olfattivo (molti pazienti presentano anosmia, non sentono cioè più gli odori, e questo fa pensare ad una possibile porta di ingresso dal naso).
La maggior parte dei quadri di COVID-19 con interessamento neurologico sembrano invece attribuibili alla tempesta citochinica, cioè alle difese immunitarie esageratamente attivate e fuori controllo, che provocano tanti danni anche altrove, dalla sindrome da distress respiratorio acuto, alle miocarditi.
Due casi esemplari: il paziente olandese e la hostess americana
A finire sulle pagine delle riviste scientifiche sono stati negli ultimi giorni il caso di un uomo olandese di 74 anni giunto al pronto soccorso di Boca Raton (Florida, Usa) per febbre e tosse e dimesso, con un sospetto di bronchite cronica riacutizzata, perché la radiografia del torace non mostrava segni di polmonite. Salvo scoprire il giorno seguente che il paziente, tornato in pronto soccorso in stato confusionale, con cefalea, febbre e tosse, presentava una polmonite e un’encefalite da coronavirus.
Qualche giorno dopo è la volta di una ex hostess di volo di 54 anni, giunta in un pronto soccorso di Detroit (Usa) con un quadro di encefalopatia emorragica necrotizzante, una forma rara osservata in passato nel corso di altre infezioni virali (come l’influenza) e dovuta ad una ‘tempesta citochinica’ intracranica.
Quando sospettare un interessamento neurologico da coronavirus
Anche la neurologia insomma ai tempi del COVID è diventata una specialità di ‘prima linea’ ed è necessario sviluppare protocolli ad hoc per prendersi cura dei pazienti con complicanze acute neurologiche, con o senza COVID-19. Il neurologo tra l’altro deve collaborare con gli infettivologi anche nella scelta delle terapie, viste le possibili interazioni farmacologiche tra anti-virali, antiepilettici e anticoagulanti orali.
Un recente documento della Società Italiana di Neurologia ha fatto il punto sui diversi quadri neurologici con i quali può presentarsi l’infezione da COVID-19. Questi rientrano in genere in tre categorie:
- Espressioni neurologiche dei sintomi della malattia di base (cefalea, vertigini, disturbi dello stato di coscienza, atassia, manifestazioni epilettiche e ictus).
- Sintomi di origine neuro-periferica (ipo-ageusia, cioè riduzione/perdita del senso del gusto, iposmia, cioè riduzione del senso dell’olfatto, neuralgia).
- Sintomi di danno muscolare scheletrico, spesso associati a danno epatico o renale.
L’esperienza del Gemelli
“Gli aspetti neurologici dell’infezione da coronavirus – esordisce il prof. Paolo Calabresi, Ordinario di Neurologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore e Direttore della UOC di Neurologia della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS – sono spesso misconosciuti e trattati tardivamente. Tuttavia, di recente, ricercatori italiani e di altri Paesi stanno portando all’attenzione della comunità scientifica internazionale le manifestazioni di alcuni segni neurologici nei pazienti affetti da COVID-19. In particolare queste alterazioni riguardano lo stato di coscienza, alterazioni di tipo epilettico (spesso stati di male epilettico), ma anche manifestazioni periferiche come sindromi di polineuropatia o grave danno muscolare. Tra l’altro si sta valutando la possibilità che una possibile via di accesso del virus al sistema nervoso centrale e, più precisamente al tronco dell’encefalo e al bulbo in particolare, sia un danno a carico della mucosa olfattoria”.
Infatti, nei pazienti positivi per infezione COVID-19 si nota spesso la presenza di un’alterazione dell’olfatto che potrebbe rivelare un’infiammazione della mucosa nasale e conseguente danno delle vie olfattorie e portare quindi alla diffusione del virus all’interno del sistema nervoso centrale e dei nuclei respiratori.
“Questo – prosegue il prof. Calabresi – potrebbe spiegare anche alcune alterazioni del respiro presentate da questi pazienti, che appaiono improvvisamente e che sono solo in parte motivate dalla gravissima polmonite interstiziale. In altre parole, il danno indotto dal virus a carico del sistema nervoso centrale, potrebbe contribuire alla morte improvvisa per insufficienza respiratoria presentata da alcuni pazienti con compromissione del sistema nervoso”.
Diversi ospedali italiani e stranieri stanno dunque mettendo a punto protocolli di ricerca per comprendere meglio le manifestazioni neurologiche del COVID-19. “Questo – commenta il prof. Calabresi – dovrebbe portare ad una maggior attenzione nella gestione della fase acuta di questi pazienti con interessamento del sistema nervoso centrale, almeno dal punto di vista clinico; ma dovrebbe consentire anche di riconoscere più prontamente questi aspetti nei pazienti che arrivano in pronto soccorso, apparentemente non per problemi respiratori o polmonite, ma per segni neurologici che possono essere ricondotti all’infezione da COVID-19”.
L’attuale pandemia da nuovo coronavirus pone anche dei problemi per quanto riguarda la gestione delle patologie neurologiche e cardiologiche ‘tempo-dipendenti’ (ad esempio ictus e infarti). “Nei pazienti con ictus – spiega il prof. Calabresi – è necessario intervenire prontamente. Al Gemelli abbiamo messo a punto un percorso differenziato per l’ictus per i pazienti con infezione da COVID-19 e per gli altri. Questo sia per proteggere i pazienti non COVID, ma anche per proteggere i medici che effettuano il trattamento trombolitico e la trombectomia, in caso di ictus”.