Il Comitato Etico di Fondazione Umberto Veronesi prende posizione sull’omeopatia a favore di una netta demarcazione tra terapie scientificamente dimostrate e preparati omeopatici privi di supporto sperimentale. Chiedendo, in primo luogo, la revisione della Direttiva 2001 / 83 / CE
Milano, 17 febbraio 2020 – Tre europei su quattro conoscono l’omeopatia. In Italia, nel 2013, 4 milioni 900 mila italiani (8,1% della popolazione) dichiarano di aver utilizzato TnC (Terapie non Convenzionali) nei 3 anni precedenti l’intervista: prevalentemente donne (2,9 milioni) classe di età centrali, status socio-culturale elevato, residenti principalmente al Nord e al Centro. Tra le TnC, l’omeopatia è la più diffusa, utilizzata dal 4,1% della popolazione residente.
Secondo il Comitato Etico di Fondazione Umberto Veronesi, tuttavia, l’omeopatia deve essere indicata per quello che è, ossia una pseudo-terapia capace di indurre benefici solo attraverso l’effetto placebo.
In particolare, il Comitato segnala l’inadeguatezza della Direttiva 2001 / 83 / CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 6 novembre 2001 che classifica come medicinali i prodotti omeopatici senza fornire le necessarie prove di efficacia. Questo accade nel caso in cui: 1) siano da assumere oralmente o esternamente; 2) non compaiano indicazioni terapeutiche specifiche sull’etichetta del prodotto; 3) siano sufficientemente diluiti.
“Questa normativa rappresenta un’informazione scorretta ai danni dei consumatori e delle persone malate perché si può parlare di ‘medicinale’ o ‘rimedio’ solo per quelle terapie che hanno dimostrato sperimentalmente i propri profili di efficacia e sicurezza”, afferma Carlo Alberto Redi, Presidente del Comitato Etico.
Nel caso dell’omeopatia – il cui principio si basa sul presupposto indimostrato e privo di base scientifica che il “simile cura il simile”, secondo il quale il farmaco appropriato per una determinata malattia sarebbe basato su quella sostanza che, in una persona sana, induce sintomi simili a quelli osservati nella persona malata somministrata, però, in quantità infinitesimali – non è possibile parlare di rimedio efficace per trattare o curare qualsiasi malattia, condizione o sintomo. Tutti gli effetti positivi che sono mai stati attribuiti all’omeopatia sono infatti interamente spiegabili come effetti placebo, o come errori compiuti dagli sperimentatori nel tentativo di dimostrarne l’efficacia.
Fermo restando il diritto a scegliere per sé – per le persone maggiorenni, capaci di intendere e volere e debitamente informate – anche se ciò comporta dei rischi concreti per la propria salute e anche se ciò avviene in differenza a quanto suggerito o raccomandato dal medico secondo il principio “su di sé e sul proprio corpo, ogni individuo è sovrano”, è imprescindibile il dovere dei professionisti sanitari di informare i pazienti in modo veritiero rispetto ai rischi e benefici delle terapie o rimedi proposti.
Nel caso dei preparati omeopatici, questo implica il dovere di informare riguardo all’assenza di prove scientifiche a supporto dell’efficacia di tali prodotti: basti pensare che sono 25.000 i medicinali omeopatici presenti sul mercato italiano dal 1995 e 30 milioni le confezioni di medicinali omeopatici vendute ogni anno.
“Un ulteriore problema relativo all’informazione riguarda poi se il paziente effettivamente sappia o se soltanto si illuda di sapere. Una percentuale notevole di pazienti/consumatori infatti non comprende la natura dei rimedi omeopatici, più semplicemente associa l’omeopatia al concetto di ‘naturale’, non chimico, familiare, senza avere contezza del fatto che non vi siano prove autentiche che essa funzioni”, prosegue Redi.
Significativamente, il fatto che i preparati omeopatici siano efficaci al pari di un placebo non implica, però, che essi siano del tutto inefficaci. Negli ultimi decenni diverse ricerche sperimentali hanno infatti dimostrato che anche l’assunzione di un rimedio privo di qualsiasi principio attivo può indurre dei benefici attraverso l’effetto placebo, un fenomeno psicobiologico attraverso il quale mediatori come le aspettative (ad esempio, di una imminente riduzione del dolore) possono indurre il rilascio di sostanze endogene (endocannabinoidi e oppiodi) e l’attivazione di particolari aree celebrali e vie di segnalazione biochimica, portando così a una reale modulazione di alcuni sintomi (ad esempio, il dolore percepito) anche in assenza dell’assunzione di un rimedio realmente efficace.
Grazie all’effetto placebo è quindi possibile che un preparato di per sé inefficace possa comunque indurre dei benefici sintomatici, i quali sono però usualmente modesti per magnitudine e durata. Insomma, la salute è una questione seria e richiede accesso a informazioni corrette, approfondite e, soprattutto, scientificamente inoppugnabili.