Roma, 29 gennaio 2020 – Gli antibiotici sono uno strumento essenziale per contrastare diverse infezioni oculari. Ma negli ultimi anni un uso eccessivo degli stessi, soprattutto per la cura di congiuntiviti e blefariti, ha contribuito ad un aumento dei fallimenti clinici.
Tre le principali cause che hanno portato a questa situazione: l’auto prescrizione o la prescrizione impropria degli antibiotici da parte del medico di base o del farmacista; l’uso profilattico nelle procedure chirurgiche o l’uso prolungato dopo un intervento; una sbagliata posologia.
Così, ad oggi, come dimostra uno studio americano sulla sorveglianza delle infezioni oculari (Asbell P US, Ophth Rev 2017), l’87% degli stafilococchi sono diventati resistenti alle principali classi di antibiotici usati in oftalmologia.
È quanto emerso oggi a Roma in occasione del convegno dal titolo “Occhio agli antibiotici! Focus in Oftalmologia sulle evidenze, la profilassi e la terapia antibiotica”, organizzato dall’Associazione Italiana Medici Oculisti e dall’Associazione “G. Dossetti: i Valori – Tutela e Sviluppo dei Diritti”. L’evento si è svolto nella Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani.
“Il problema dell’antibiotico resistenza riguarda direttamente anche il settore dell’oftalmologia – ha detto Alessandra Balestrazzi, coordinatore scientifico dell’incontro e referente di AIMO per i rapporti con le istituzioni – In tutto il mondo gli oftalmologici stanno cambiando il loro approccio utilizzando una profilassi antimicrobica preoperatoria che non prevede antibiotici, ma sostanze antisettiche. I microbiologi per gli interventi sull’occhio, come per esempio la cataratta, raccomandano una dose consistente di collirio antibiotico per un tempo ridotto dopo l’intervento chirurgico”.
Secondo un’indagine condotta lo scorso novembre da Iqvia, intanto, in Italia c’è un consumo annuo di antibiotici oftalmici semplici pari a 5.134.000 unità (terramicina 48%, fluorochinoloni 28%, cloramfenicolo+tetraciclina+colistina 8%, netilmicina 6, altro 10%) e di antibiotici oftalmici associati con cortisonico pari a 6.871.000 unità (tobramicina 44%, cloramfenicolo 26%, netilmicina 14%, altro 16%).
Ma quando un antibiotico deve effettivamente essere somministrato in ambito oculare? “L’antibiotico deve essere prescritto dal medico oculista – ha fatto sapere Romina Fasciani, dell’Unità operativa complessa (UOC) di Oculistica Fondazione del Policlinico Universitario Gemelli IRCCS di Roma – e deve essere somministrato esclusivamente quando è riconosciuta un’infezione ad eziologia microbica. La maggior parte delle congiuntiviti non necessitano per esempio di antibiotico, perché il più delle volte sono virali, tossiche o allergiche. Prescrivere un antibiotico in questi casi peggiora addirittura la situazione, perché lo stesso diventa tossico sulla superficie oculare e nel tempo seleziona l’antibiotico resistenza”.
L’utilizzo improprio di antibiotici, come hanno fatto sapere gli esperti riuniti al convegno, avviene dunque soprattutto per congiuntiviti e blefariti.
“Questo nel tempo ha contribuito a ridurre la sensibilità dei germi spesso coinvolti nelle infezioni oculari – ha spiegato ancora la dottoressa Fasciani – Quindi ora ci troviamo di fronte a germi, come i batteri meticillino resistenti, che sono diventati particolarmente resistenti a molti antibiotici che eravamo soliti prescrivere”.
Ma non solo: oggi troppi pazienti, hanno sottolineato ancora gli esperti, arrivano troppo tardi dall’oculista, a terapia già iniziata e con danni in stato avanzato. Mentre l’antibiotico, concordano, deve essere somministrato “esclusivamente dal medico oculista”. Per l’Italia serve ora un cambio di passo, con strategie che puntino all’eliminazione dell’uso indiscriminato di antibiotici e ad un impiego limitato non alla profilassi, ma alla cura di una infezione batterica oculare.
“Dobbiamo attenerci alle indicazioni fornite dall’Organizzazione mondiale della sanità – ha sottolineato Stefano Baiocchi, dell’azienda ospedaliera universitaria Senese e membro di AIMO – e seguire le linee guida che ci vengono suggerite dai colleghi europei, ma anche extraeuropei, che ricorrono sempre più spesso ai disinfettanti. Deve cambiare il nostro approccio alla prevenzione”.
Un impiego sovrabbondante di antibiotici ha selezionato “batteri che resistono praticamente a tutto – ha proseguito Baiocchi – e se non li ‘abbattiamo’ utilizzando disinfettanti al posto degli antibiotici, ci troveremo di fronte ad un aumento sempre maggiore delle infezioni intraoculari”.
Per questo AIMO ha voluto creare delle linee guida uniformandosi a quanto avviene in Francia, dove “l’uso dell’antibiotico è fortemente sconsigliato nel preoperatorio della chirurgia del segmento anteriore. La nostra associazione, inoltre – ha aggiunto Baiocchi – si è allineata alle linee guida europee per l’impiego dell’antibiotico intracamerulare al termine della chirurgia della cataratta o del glaucoma. L’impiego di tale antibiotico, che viene usato raramente nella pratica clinica, fa sì che la selezione di ceppi resistenti non ci sia”.
La European Society of Cataract and Refractive Surgeon, ha concluso Baiocchi, ha dimostrato che “l’impiego dello Iodopovidone al 5% al livello del sacco congiuntivale è in grado di abbattere la popolazione residente di circa il 92% e che l’impiego dell’antibiotico intracamerulare ha abbattuto l’incidenza della endoftalmite da 1 su 1.200 a 1 su 5mila. Quindi una riduzione statisticamente significativa, se si calcola una popolazione di 780mila interventi”.
Nonostante la resistenza dei superbatteri agli antibiotici sia stata inserita dall’Organizzazione mondiale della Sanità tra le minacce per la salute globale del 2019, il problema continua a rappresentare un’emergenza per via dell’assenza di soluzioni efficaci su questo fronte, in tutti i settori medici.
Ogni anno, come ha reso noto l’AIFA nel suo ultimo rapporto, nel mondo muoiono 700mila persone per infezioni batteriche che gli antibiotici non riescono più a curare a causa dell’antibiotico resistenza. In Europa il conteggio più recente parla di 33mila morti l’anno e l’Italia è maglia nera con un bilancio di 10 mila decessi direttamente collegati alla perdita di efficacia di questi farmaci.