Roma, 18 dicembre 2019 – Al via una nuova linea di ricerca ENEA che punta a rendere le batterie litio-zolfo un prodotto competitivo per costi di produzione e prestazioni, rispetto a quelle litio-ione. I nuovi accumulatori, infatti, promettono di essere più economici (lo zolfo è un sottoprodotto dell’industria petrolifera), di pesare meno e, a parità di peso, di potere immagazzinare quasi il doppio dell’energia (300 Wh/kg).
Obiettivo della ricerca ENEA sarà quello di affrontare la maggiore criticità che finora ha frenato l’arrivo sul mercato delle batterie litio-zolfo, ossia la ridotta vita ciclica: infatti durante il processo di scarica, lo zolfo, che costituisce il catodo, produce composti intermedi (i polisolfuri di litio) che risultano solubili nell’elettrolita, con il risultato che il catodo, con il passare del tempo, finisce letteralmente per disciogliersi nell’elettrolita stesso.
“Questo fenomeno innesca un processo ciclico che porta a consumare corrente senza che si abbia accumulo di energia e provoca una perdita irreversibile del materiale attivo (zolfo), una rapida diminuzione della capacità specifica con il progredire del numero dei cicli e una ridotta reversibilità tra il processo di carica e scarica”, spiega la ricercatrice ENEA Mariasole Di Carli del laboratorio ENEA di “Sviluppo Processi Chimici e Termofluidodinamici per l’Energia”.
La chiave per aumentare la reversibilità della reazione di conversione, ossia il numero di cicli di carica e scarica delle batterie litio-zolfo, potrebbe risiedere nell’utilizzo all’anodo di nanoparticelle di materiale carbonioso. Per via della loro elevata area superficiale, queste particelle riescono a intrappolare i polisolfuri di litio, quei composti dannosi per il corretto funzionamento della batteria in quanto provocano una notevole riduzione delle prestazioni.
“Nei nostri laboratori sintetizzeremo nanomateriali a base carboniosa adatti a essere utilizzati nelle batterie litio-zolfo, studieremo soluzioni elettrolitiche capaci di trasportare efficacemente ioni di litio e investigheremo l’interazione tra gli elettrodi (anodo e catodo) e l’elettrolita e il comportamento delle celle litio-zolfo complete. In questo modo riusciremo a raggiungere la piena comprensione dei fattori che determinano la chimica di queste batterie innovative”, afferma l’esperto ENEA di accumulo elettrochimico Pier Paolo Prosini.
Per la fase finale del progetto i ricercatori produrranno e testeranno batterie complete (con energia nominale [1] fino a 1.0 Wh [2]), utilizzando attrezzature in grado di assicurare la riproducibilità del prodotto e arrivare così a produrre una serie di batterie complete. Successivamente, per migliorare le loro prestazioni, verranno variati alcuni parametri costruttivi analizzandone contributo e impatto.
“Con l’enorme aumento della capacità di stoccaggio delle batterie litio-zolfo, possiamo aspettarci di vedere auto elettriche in grado di viaggiare a distanze sempre maggiori con una singola carica; al 2022 l’industria automobilistica potrebbe rappresentare il 5% del mercato totale grazie all’aumento del numero di veicoli elettrici in circolazione. Ma sono tante le applicazioni ad alta densità di energia che potrebbero trarre beneficio dalla nuova generazione di batterie: ad esempio, l’accumulo di energia da fonti rinnovabili, ma potremmo aumentare l’autonomia di smartphone, tablet e computer e, in generale, di tutti i dispositivi elettronici. Comunque, il mercato in cui potrebbero avere un notevole impatto è quello dell’aviazione, dove droni e aerei elettrici richiedono batterie sempre più potenti, a lunga durata e con grandi capacità di stoccaggio”, sottolinea Di Carli.
I vantaggi non finiscono qui: a livello ambientale la produzione dei nuovi accumulatori elettro-chimici risulta un processo a basso impatto ambientale e con ridotte emissioni di gas serra; inoltre queste batterie non contengono né materie critiche né metalli pesanti e questo rende il loro smaltimento più facile.
Questa nuova linea di ricerca segue un recente brevetto ENEA sulle batterie litio-zolfo che utilizza come legante idrosolubile (acquoso) la colla Vinavil. L’uso di questo legante elimina il ricorso, nella preparazione degli elettrodi, a solventi organici volatili (i cosiddetti VOC), composti potenzialmente pericolosi per la salute umana e per l’ambiente.
La principale novità di questa invenzione è legata al fatto di aver limitato al massimo la quantità di carbone presente sul catodo (l’elettrodo positivo) e di averlo depositato, strato dopo strato, direttamente sul separatore [3] tramite il legante polimerico: questa strategia aumenta notevolmente la densità energetica del dispositivo e contemporaneamente permette di ridurre il peso della cella.
La seconda innovazione rispetto alle altre tipologie di batterie litio-zolfo è legata al fatto che lo zolfo è introdotto all’interno della batteria in forma liquida: questo permette di avere un’elevata disponibilità dello zolfo, tanto è vero che al primo ciclo la batteria possiede una capacità prossima a quella teorica.
[1] La quantità di energia nominale di una cella si ottiene moltiplicando la capacità in mAh (milli-Ampere-ora) per la tensione nominale in Volt, e si misura in mWh (milli-Watt-ora) o in Wh (Watt-ora) dividendo per mille.
[2] Ad esempio, la cella potrà avere una capacità di 500 mAh con tensione nominale di 2.0V ed un’energia nominale di 500*2.0 = 1000 mWh = 1.0 Wh.
[3] Il separatore di una batteria è un isolante sistemato tra gli elettrodi positivi e negativi e impedisce il contatto elettrico tra questi in modo da evitare un possibile cortocircuito.