Roma, 12 novembre 2019 – La maggior parte dei pazienti oncologici quando inizia le terapie impara a convivere con un piccolo dispositivo colorato che è la porta di accesso più sicura ai farmaci. Uno studio e le attività messe in atto dall’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena (IRE) dimostrano che anche il caregiver opportunamente formato è equiparabile all’operatore per la gestione dei PICC (Peripheraly Inserted Central Catheter).
È il catetere venoso centrale ad inserzione periferica, tecnicamente chiamato PICC che garantisce maggiore sicurezza biologica a paziente e operatore sanitario: non danneggia le vene periferiche della persona ammalata, l’operatore non rischia punture accidentali e stravasi di farmaci, e riduce le infezioni.
L’IRE, grazie ad un gruppo di lavoro guidato da Paolo Basili, coordinatore infermieristico, e un team di infermieri specializzati in accessi venosi, ha posto un attenzione particolare alla gestione di questo importante dispositivo per l’infusione di chemioterapici da oltre un decennio: un unico ambulatorio dedicato per impianto e gestione dei PICC; un database che registra e monitora l’impianto per tutto il tempo della gestione ed utilizzo; una intensa attività formativa dedicata agli operatori dell’IRE, del territorio nazionale e persino provenienti dall’estero.
Il risultato osservato è che si riducono le infezioni, le ospedalizzazioni, le interruzioni di terapie e si aumenta la consapevolezza e l’empowerment di tutti gli attori coinvolti nel percorso di cura.
“La nostra mission – evidenzia Branka Vujovic, Direttore sanitario IFO – è puntare all’eccellenza di diagnosi e cura attraverso un lavoro di miglioramento continuo di tutto il processo di presa in carico della persona a partire dall’accesso in ospedale. Lo possiamo fare attraverso un approccio multidisciplinare di lavoro in team e soprattutto grazie dati e risultati della ricerca. Ridurre gli accessi e le infezioni è un risultato importantissimo e su cui continuiamo a lavorare”.
Il rischio maggiore legato alla presenza degli accessi venosi centrali è rappresentato dalle infezioni sistemiche che si accentua nelle persone immunodepresse, come è possibile che siano i pazienti oncologici in alcune fasi del percorso di cura. Si è riusciti ad ottenere una riduzione di infezioni nei pazienti portatori di PICC attraverso la corretta esecuzione della medicazione settimanale e un corretto approccio al sistema. Attraverso la formazione e l’informazione si è visto ulteriormente ridotto il rischio di questa temuta complicanza. La Direzione Sanitaria IFO in collaborazione con la Direzione Infermieristica, tecnica e riabilitativa e con il responsabile Qualità e Risk Management ha promosso una serie di iniziative finalizzate a: riduzione del rischio infettivo, formazione continua degli operatori, ed empowerment dei caregiver attraverso il “trasferimento di istruzioni utili” alla persona che si prende cura del paziente a casa, aiutandolo nella gestione della malattia.
Con tale lavoro si è ottenuto così una riduzione degli accessi settimanali ed una riduzione del tasso di infezioni. Nel dettaglio, si è condotto uno studio randomizzato su 170 pazienti al fine di valutare la sicurezza e l’efficacia di formare in modo specifico un caregiver volontario e scelto dal paziente stesso, per effettuare la medicazione a domicilio. I caregiver sono stati istruiti con un corso di formazione, con schede tecniche procedurali. Il personale infermieristico li ha affiancati sempre ed ha valutato l’effettiva capacità di operare in autonomia.
Lo studio randomizzato ha confrontato le complicanze riscontrate nella gestione del PICC sia in ambulatorio che in gestione domiciliare. Due i gruppi di pazienti, uno di controllo, che ha eseguito le medicazioni in ambulatorio, ed uno di studio, il cui caregiver ha eseguito medicazioni a casa. A questi ultimi è stata fornita una scheda di sorveglianza delle medicazioni PICC dove elencare le possibili complicazioni (i.e. arrossamento, perdita sierosa od ematica, gonfiore, dolore, pervietà) e un kit di materiale gratuito per effettuare le medicazioni.
L’accesso ambulatoriale di questi è passato da settimanale a mensile, per tre mesi.
Lo studio ha dimostrato che tra i 2 gruppi non si sono verificate significative differenze circa l’incremento di complicanze derivate da medicazioni effettuate da caregiver.
Dati ottenuti dalle interviste conclusive dei pazienti, hanno evidenziato un significativo miglioramento della qualità della vita dovuto ad una riduzione degli spostamenti, diminuzione di permessi per assenze da attività lavorative e/o scolastiche ed una maggiore accettazione del dispositivo stesso.
“La ricerca in questo ambito – sottolinea Gennaro Ciliberto, Direttore Scientifico IRE – ora è impegnata a livello multicentrico a valutare l’efficacia del sistema, a standardizzare la procedura e a mettere in campo ulteriori sistemi di riduzione delle infezioni e la modalità per bloccarne nel minor tempo possibile la diffusione”.