Pisa, 27 settembre 2019 – Cuore e ippocampo, una piccola regione del cervello, sono in stretta relazione e danneggiati nel soggetto obeso esposto per lungo tempo allo stress psicosociale, un fattore di rischio ambientale tipico della società occidentale, che li priva dell’azione protettiva del fattore neurotrofico cerebrale, o BDNF (da Brain-derived neurotrophic factor).
A mettere in relazione per la prima volta l’effetto sinergico dell’obesità, come quella indotta da una dieta ricca di grassi saturi, e del subentrante stress psicosociale, come quello correlato al lavoro, alla discriminazione sociale o alla violenza, con la disfunzione dell’asse cuore-cervello da carenza di BDNF è uno studio multidisciplinare internazionale condotto dall’Unità di Medicina Critica Traslazionale (Trancrilab) dell’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna, coordinata dal prof. Vincenzo Lionetti, in collaborazione con gruppi di ricercatori dell’Istituto di Neuroscienze del CNR di Pisa, della Divisione di Cardiologia della Johns Hopkins University di Baltimora (USA) e del Dipartimento di Medicina dell’Università di Udine – coordinati rispettivamente dai professori Matteo Caleo, Nazareno Paolocci e Antonio Paolo Beltrami.
I risultati dello studio recentemente pubblicato su EBioMedicine (la rivista open access del prestigioso The Lancet) sono parte del progetto di ricerca svolto dal dott. Jacopo Agrimi, presso l’area di ricerca del CNR di Pisa che a Baltimora, durante il suo PhD in Medicina Traslazionale presso l’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Sant’Anna, grazie ad una borsa di studio finanziata da Telecom Italia. Il dott. Agrimi oggi svolge il postdottorato presso la Johns Hopkins University e lì ha conseguito la Rotary Foundation Global Study Scholarship per continuare ad occuparsi di asse cuore-cervello.
L’uso di un approccio metodologico multimodale ha rivelato che solo i topi obesi dopo uno stress cronico presentano una maggiore riduzione della funzione cardiaca, sistolica e diastolica, sebbene la densità capillare miocardica non si riduca, e una grave disfunzione ippocampale, caratterizzata da un deterioramento del tono dell’umore e della memoria spaziale.
È interessante osservare come sia il cuore sia l’ippocampo dello stesso soggetto rispondano, allo stesso modo, ad un crescente stress ossidativo, ovvero con una progressiva perdita di cellule, rese ormai fragili dalla ridotta espressione di BDNF e TrkB, il suo specifico recettore, la cui assenza favorisce livelli tissutali più alti di radicali liberi dell’ossigeno.
Uno studio che costituisce solo la prima parte di un progetto più ampio cui ha visto collaborare brillanti ex allievi perfezionandi biomedici del Sant’Anna, come la dott.ssa Cristina Spalletti, per rivelare nuovi meccanismi a ponte tra i due organi che inducono il recupero strutturale e funzionale dell’asse cuore-cervello danneggiato.
“Nell’anno in cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità riconosce il burn-out causato dallo stress cronico sul lavoro (un esempio di diffusa condizione di stress psicosociale) come una diagnosi medica ufficiale, il nostro studio aiuta a fare chiarezza sui meccanismi. Si tratta di risultati di grande rilievo – sottolinea il prof Vincenzo Lionetti, coordinatore dello studio – a cui hanno contribuito cardioscienziati e neuroscienziati, di Pisa come di altri prestigiosi laboratori di ricerca di fama internazionale, perché hanno anche permesso di caratterizzare un modello sperimentale di disfunzione dell’asse cuore-cervello che presenta dei tratti clinici e biochimici sovrapponibili a quelli identificati nell’uomo. Pertanto, il nostro modello potrà essere d’aiuto per lo sviluppo di nuove strategie di protezione multiorgano dedicate a chi è potenzialmente sano, sebbene ad alto rischio, ma anche al paziente critico. Altri studi di neurocardiologia in corso presso la nostra unità di ricerca, finanziati dalla Fondazione Pisa (ETHERNA) e dalla Commissione Europea (NeuHeart), ci stanno aiutando a rivelare, un passo alla volta, il funzionamento complesso dell’asse cuore-cervello collaborando con i neuroscienziati della Scuola Normale Superiore, coordinati dal prof. Antonino Cattaneo, o con il gruppo di neurobioingegneri del Sant’Anna, coordinati dal prof. Silvestro Micera”.