Per la prima volta in Italia si è intervenuti sul dotto di Botallo pervio in bambini prematuri con un intervento mininvasivo. Doppio intervento a Niguarda con la supervisione del prof. Alain Fraisse del Royal Brompton Hospital di Londra, esperto nell’applicazione di questa nuovissima tecnica. Gli interventi sono stati condotti su due piccoli bimbi nati pretermine da gravidanze sotto le 30 settimane e del peso inferiore ai 2 Kg
Milano, 1 agosto 2019 – Per la prima volta in Italia è stata utilizzata con successo una procedura mininvasiva per riparare un’anomalia cardiaca- il dotto di Botallo pervio- su neonati prematuri dell’età di un mese. La tecnica, che sfrutta una procedura trans-catetere, ha permesso di chiudere il dotto arterioso in due bambini con peso inferiore ai 2 kg, nati da gravidanze sotto le 30 settimane di gestazione. In questi casi il vaso che permette il passaggio di sangue dall’arteria polmonare all’aorta durante la vita fetale non si era chiuso dopo la nascita causando importanti problemi cardiocircolatori e respiratori.
Gli interventi sono stati condotti dagli specialisti di Niguarda sotto la supervisione del prof. Alain Fraisse, cardiologo pediatrico del Royal Brompton Hospital di Londra, specializzato nell’uso di questa tecnica per la correzione del dotto arterioso pervio. Il medico del centro inglese ha supervisionato l’attività dei colleghi italiani durante le due procedure.
I due interventi sono durati circa mezz’ora l’uno e sono stati portati a termine nelle sale di emodinamica di Niguarda. Il team multidisciplinare – composto da cardiologi pediatrici, anestesisti, tecnici di radiologia, neonatologi e infermieri – ha utilizzato un nuovo device, che tramite un catetere sottilissimo, del diametro di uno spaghetto, inserito dalla vena femorale sulla gamba, ha raggiunto l’arteria polmonare e quindi- attraverso il dotto- l’aorta.
“Una volta in sede dal catetere è stato rilasciato un dispositivo auto-espandibile che è andato a tappare il dotto arterioso aperto – spiega Gabriele Vignati, Responsabile della Cardiologia Pediatrica di Niguarda – Durante la vita fetale, infatti, esiste un “tubicino”, il dotto di Botallo appunto, che mettendo in comunicazione l’arteria polmonare con l’aorta ottimizza la circolazione fetale evitando a gran parte del sangue, già ben ossigenato dalla placenta, di andare inutilmente ai polmoni”.
Il dotto, quindi, permette al sangue di ‘saltare’ gli organi deputati alla respirazione (tranne una piccola quantità per assicurarne la crescita), e di raggiungere direttamente il resto del corpo. Alla nascita, nel momento in cui ha inizio la funzione respiratoria, il dotto inizia a chiudersi spontaneamente ed entro le prime 72 ore, o più raramente entro le prime settimane di vita, la sua chiusura è completa.
“La mancata chiusura è un evento con basso riscontro nei nati a termine ma in circa il 30% dei nati estremamente prematuri il dotto rimane aperto, con un passaggio di sangue dall’aorta all’arteria polmonare – indica Stefano Martinelli, Direttore della Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale – Questo porta ad un sovraccarico di lavoro del muscolo cardiaco e – se le dimensioni del dotto sono importanti – anche ad un aumento della pressione nell’arteria polmonare con conseguenze anche gravi sui processi di maturazione del polmone stesso”.
In questi casi “viene fatto inizialmente un tentativo di chiusura farmacologica del dotto grazie alla somministrazione dei farmaci antinfiammatori – spiega Vignati – In alcuni casi, però, come è successo per questi due bambini, i farmaci non sortiscono l’effetto sperato e l’unica chance di trattamento sarebbe stata la chiusura chirurgica attraverso l’apertura del torace”.
Oggi grazie alla procedura con il catetere l’intervento può essere condotto per via mini-invasiva con un traumatismo chirurgico del tutto azzerato, basta infatti una piccola puntura di una vena della gamba per poter inserire il dispositivo. Non ci sono cicatrici e anche la ripresa post-operatoria è più veloce. Si tratta di un’opzione importante permessa da un’evoluzione tecnologica che ha portato ad una miniaturizzazione sempre più spinta dei dispositivi che oggi possono essere utili anche per neonati prematuri con un peso molto contenuto alla nascita.