Una nuova monografia degli Annali AMD rileva come le gliflozine, inibitori del co-trasportatore di sodio glucosio 2, in grado di ridurre eventi e mortalità cardiovascolari, abbiamo un impiego ancora molto ridotto nella pratica clinica quotidiana
Roma, 17 maggio 2019 – Le gliflozine sono una nuova classe di molecole in grado di ridurre i livelli plasmatici di glucosio inibendo una proteina responsabile del 90% del riassorbimento del glucosio da parte dei reni, il co-trasportatore di sodio-glucosio 2 (SGLT2), favorendo la glicosuria, cioè l’eliminazione del glucosio con le urine, dimostratesi efficaci nel diminuire gli eventi e la mortalità cardiovascolari.
Gli esperti AMD hanno verificato l’applicabilità di alcuni studi clinici (Cardiovascular Outcome Trials CVOTs), condotti su specifiche molecole SGLT2i, alla real life dei pazienti con diabete tipo 2 monitorati nella raccolta Annali AMD, fonte rappresentativa della realtà assistenziale diabetologica italiana.
Dall’analisi è emerso come all’interno della popolazione Annali, su 40.039 soggetti eleggibili allo studio EMPA-REG OUTCOME, per i quali l’impiego di gliflozine sarebbe quindi particolarmente appropriato, solo 2.073 (5,2%) risultano assumere questi farmaci. Percentuali analoghe per lo studio CANVAS (43.883 pazienti eleggibili, di cui 2.917, il 6,6%, trattati con SGLT2i), per DECLARE (144.166 potenziali “candidati”, di cui 6.373, il 4,4%, in cura con gliflozine) e per VERTIS-CV (2.148 soggetti trattati su 46.631 eleggibili, il 4,9%).
È quindi significativo il gap tra la platea che potrebbe beneficiare dell’utilizzo degli inibitori del co-trasportatore di sodio glucosio 2 e il numero dei pazienti effettivamente trattati con questi farmaci: questo è quanto messo a fuoco da AMD e oggetto della nuova monografia Annali “Applicabilità di una serie di studi clinici SGLT-2i CVOT in un ambito di popolazione Real World di pazienti con DM2”.
“Il miglioramento degli esiti cardiovascolari del diabete di tipo 2 è ormai un obiettivo imprescindibile – commenta Domenico Mannino, Presidente AMD – Le prospettive terapeutiche del DM2 hanno subito profonde modifiche, passando dal semplice controllo della glicemia a un approccio più olistico, di beneficio a lungo termine sulle complicanze. Tra i nuovi farmaci testati nell’ambito dei CVOT, gli SGLT2i sono, insieme agli agonisti recettoriali del glucagon-like peptide 1 (GLP1), quelli che hanno mostrato i risultati migliori. La nostra analisi ha rilevato come un gran numero di soggetti candidabili alla terapia con gliflozine, non riceva questo trattamento, almeno nell’anno indice 2016, su cui è effettuata l’analisi degli ultimi Annali AMD”.
“Tuttavia – prosegue Mannino – il confronto fra le caratteristiche dei soggetti italiani potenzialmente eleggibili e quelle dei pazienti arruolati nei diversi CVOT ha mostrato sostanziali differenze (per età, durata del diabete, BMI, controllo metabolico). Si tratta, pertanto, di popolazioni non sovrapponibili, dato ampiamente atteso considerando la natura molto diversa di uno studio clinico controllato rispetto a un archivio di dati clinici real world quali sono gli Annali. Ciò potrebbe in parte giustificare l’uso ancora limitato degli SGLT-2i nella pratica clinica; così come la relativa ‘recente’ disponibilità di queste molecole, introdotte in prontuario solo a partire dal 2015”.
“L’analisi svolta evidenzia una trasferibilità solo parziale dei dati dei CVOT alla ‘real life’ e pertanto – mentre nei diabetici che hanno avuto un evento CV la scelta di un SGLT2i dovrebbe essere la norma – resta aperta la domanda su quali debbano essere i farmaci di prima scelta nel caso in cui occorra intensificare la terapia nei soggetti a rischio cardiovascolare medio-basso, che rappresentano la quota più numerosa di pazienti con diabete di tipo 2.
D’altra parte, questo studio dimostra comunque un utilizzo troppo basso degli SGLT-2i fra i pazienti che rientrano nei criteri di eleggibilità dei CVOT, e che quindi potrebbero beneficiare di questi farmaci in termini di riduzione degli eventi cardiovascolari maggiori e di mortalità. È auspicabile che l’emergere di nuove evidenze e una maggiore diffusione delle nuove raccomandazioni, sia italiane che internazionali, possano portare a un uso più diffuso di questa classe di farmaci, con benefici clinici per i pazienti e anche economici per il sistema sanitario pubblico”, conclude Mannino.