Roma, 20 febbraio 2019 – Il panorama delle malattie del fegato è in continua evoluzione e così il ruolo dell’epatologo. Le sfide tradizionali dell’epatologia restano quelle della lotta contro le epatiti virali B e C e contro le loro conseguenze, come l’epatite acuta, la cirrosi epatica, il tumore del fegato e il trapianto del fegato.
Negli ultimi anni gli specialisti poi, hanno concentrato i propri sforzi anche su altre patologie emerse: le malattie metaboliche, ossia la steatosi epatica (NAFLD) e la steatoepatite (NASH), caratterizzate da una nutrizione scorretta e da uno stile di vita alterato.
Per quanto riguarda le epatiti, l’epatologo si è giovato di nuovi strumenti terapeutici di portata rivoluzionaria che hanno consentito di trattare in modo sicuro ed efficace un grande numero di pazienti. Tuttavia, il fegato resta lo specchio della salute del corpo, in quanto è la centrale metabolica dell’organismo: se viene alterato, genera conseguenze anche in periferia.
“Il dilagare di obesità e diabete ad esempio – spiega Salvatore Petta, segretario dell’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato (AISF), e Ricercatore dell’Università di Palermo specializzato in Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva – rendono conto dell’incremento delle malattie croniche del fegato da accumulo di grasso, ovvero steatosi epatica non alcolica. Tale condizione interessa oggi circa il 25% della popolazione generale e più del 50% della popolazione obesa e/o diabetica; si stima poi che circa il 2% della popolazione generale e circa il 10% della popolazione di soggetti diabetici presentino una malattia di fegato con danno significativo secondario a steatosi epatica”.
Lifestyle come forma di prevenzione
Il lifestyle, lo stile di vita, è l’insieme delle caratteristiche basiche di un individuo stabilite già nei primissimi anni di vita. Per “stile di vita” non si intende solo l’alimentazione, ma anche la componente psicologica, il contesto sereno, l’attività sportiva: tutto ciò che sta intorno all’individuo sin dalla sua età più infantile influisce sulle successive patologie da adulto. Proprio lo stile di vita è il nuovo oggetto di interesse per gli epatologi per far fronte alle patologie non trasmissibili.
Grande attenzione dunque da questa categoria di specialisti per la prevenzione, di cui il primo strumento è la nutrizione, che con l’attività fisica e lo stress costituisce l’insieme di elementi su cui lavorare per generare un corretto stile di vita.
“Per agire in maniera incisiva sullo stile di vita bisogna intervenire già nell’età dell’infanzia, sui primi dieci anni di vita di un bambino – spiega Antonio Gasbarrini, Coordinatore della Commissione AISF Lifestyle e fegato, Professore Ordinario di Gastroenterologia all’Università Cattolica, Dirigente dell’Area di Medicina Interna, Gastroenterologia e Oncologia del Policlinico Gemelli – Se si riconosce uno stile di vita deviato si possono prevenire o curare meglio determinate malattie. Un corretto stile di vita permette di prevenire le malattie metaboliche (diabete, insulino-resistenza, steatosi epatica) e le loro conseguenze (come le malattie cardio e cerebrovascolari), ma anche le malattie immuno-relate, altra grande piaga oggi nel nostro Paese”.
Lifestyle: comportamenti giusti e sbagliati
Lo stile di vita ha quindi un ruolo di primo piano nell’economia delle malattie croniche di fegato. Le evidenze cliniche disponibili ben documentano come un calo ponderale di almeno il 5-7% del peso corporeo sia in grado di determinare un miglioramento del danno epatico in soggetti con steatoepeatite non alcolica, nonché una riduzione dell’ipertensione portale in soggetti con cirrosi epatica.
Tale calo ponderale va ottenuto mediante promozione della dieta mediterranea che ha anche benefici sul rischio cardiovascolare, e mediante promozione di attività fisica sia aerobica che anaerobica da effettuare in modo costante almeno 3 volte la settimana per almeno 30′.
Parimenti, un errato stile di vita può favorire la comparsa di malattie croniche del fegato o agire come co-fattore in grado di modularne l’evoluzione favorendo la progressione della fibrosi epatica e la comparsa di complicanze quali scompenso epatico ed epatocarcinoma.
“Una costante attività fisica e una corretta alimentazione sono elementi fondamentali per una buona salute del fegato – aggiunge Salvatore Petta – Una dieta qualitativamente e quantitativamente errata, ovvero ipercalorica, ricca in acidi grassi saturi (carne rossa) e salse/bevande arricchite con sciroppi a base di fruttosio industriale, e povera in acidi grassi poli-insaturi (pesce azzurro), frutta e verdura, è una dieta che espone al rischio di steatosi epatica non alcolica nonché ad un aumentato tasso di progressione e complicanze della malattia di fegato. Altro comportamento alimentare a rischio è rappresentato dall’iperconsumo alcolico, definito come a rischio se > 20g/die -o 140g/settimana- nelle donne e 30 g/die -o 210g/settimana- negli uomini, e che può agire come unico fattore o come co-fattore in grado di favorire sia la comparsa che la progressione delle malattie croniche di fegato”.