Milano, 16 novembre 2018 – Il 17 novembre è la data in cui si celebrano i bambini nati prematuri, ovvero tutti quei neonati venuti alla luce prima delle 37 settimane di gestazione. A nascere pretermine è oggi un bambino su 10, spesso questi piccolini alla nascita sono così minuti da stare nel palmo di una mano eppure, nonostante le tante difficoltà iniziali, ci sono storie di speranza che riempiono il cuore come quelle delle gemelline Sofia e Ginevra, curate e praticamente adottate dalla Terapia Intensiva Neonatale di Niguarda (qui infatti hanno passato i loro primi 4 mesi della loro giovanissima vita).
Mamma Mirella e papà Francesco ancora oggi (a 5 mesi dalla dimissione) di frequente tornano in ospedale, ci sono le visite e i controlli per le loro principesse, ma le difficoltà di una gravidanza dimezzata sono ormai alle spalle.
“Non ho quasi avuto il tempo di rendermi conto di essere incinta – ci dice Mirella – Non ho avuto nemmeno il tempo di comprarmi un vestito premaman. Tutto è iniziato alla 20a settimana, sono venuta in ospedale per sottopormi alla morfologica, sapevamo già che si trattava di un parto gemellare e ci avevano detto che, in questi casi, bisognava tenere sotto controllo il collo dell’utero. Ma fatto l’esame qualcosa non andava, c’era bisogno di un intervento di cerchiaggio altrimenti il parto sarebbe avvenuto da lì a poco”.
Si prova con la procedura (l’intervento viene realizzato dai ginecologi di Niguarda), ma dopo una settimana il nuovo assetto non tiene. Si prova a replicare l’intervento, ma niente da fare. A causa di una conformazione anomala dell’utero l’unica alternativa diventa il parto.
È così è, da lì a pochi giorni Ginevra e Sofia vengono alla luce – alla 23° settimana di gestazione. È stato un parto naturale e sono praticamente nate insieme, anche se per la registrazione ufficiale dell’anagrafe risulta un minuto di differenza, Sofia alle 4.05 del mattino e Ginevra alle 4.06.
“Erano poco più grandi di un piccolo uovo di Pasqua, di quelli che stanno completamente nel palmo di una mano. Pesavano 490 grammi ciascuna. Mi ricordo tutto di quegli istanti – ci dice Francesco – appena nate erano avvolte nel loro sacco. Si è aperto ed ecco che immediatamente i medici e gli infermieri hanno iniziato le manovre di rianimazione. Poi sono state sistemate nell’incubatrice per essere portate in Terapia Intensiva Neonatale”.
Si corre febbrilmente, la situazione non permette altro. Non c’è stato nemmeno il tempo di dare uno sguardo alle piccole per mamma Mirella. “La prima volta che le ho viste, è stato attraverso l’incubatrice ed è stato come sbattere la faccia contro il muro – ci dice – Ti trovi catapultata in uno spazio che non conosci e che prima avevi visto solo nei telegiornali, quando parlano di queste storie particolari: una sfilza di monitor con tutti quei parametri che dicono tutto e non dicono niente, una miriade di bip e suoni che non sai come interpretare e poi c’erano loro: le bimbe. Ciascuna dentro la propria incubatrice, erano attaccate a 10.000 fili e altrettanti cerotti, c’erano flebo ovunque e tubicini per respirare e per la nutrizione”.
Mirella e Francesco sono spaventati e i colloqui con i medici non erano per nulla rassicuranti, ma hanno sempre avuto la forza di non perdersi mai d’animo.
“Abbiamo conosciuto lo staff medico e infermieristico del reparto Diretto da Stefano Martinelli. Il nostro primo contatto è stato con la Dottoressa Laura Ilardi. Com’è giusto che sia in questi casi, i medici ci hanno preparato al peggio, ci hanno detto fin da subito quanto fosse dura la strada per Ginevra e Sofia, non ci sono state false speranze e pacche sulle spalle”. E in queste situazioni le difficoltà e le preoccupazioni si moltiplicano per due.
“L’età gestazionale era ai limiti della sopravvivenza e il fatto che si trattasse di due gemelle rendeva ancora più complessa la situazione – spiega Stefano Martinelli, Direttore della Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale – c’è sempre da aspettarsi che le complicanze di una potrebbero verificarsi anche sulla sorella. Ci sono state scelte coraggiose da prendere e la presenza continua dei genitori in reparto è stata una risorsa preziosa per tutti, per le piccole e anche per noi dello staff”.
Il percorso è duro, sono 4 mesi di ricovero lunghissimi, infiniti, scanditi dal solito ritmo quotidiano. “Arrivavamo alla mattina prestissimo, Francesco andava a lavorare e io rimanevo accanto a Sofia e Ginevra per tutta la giornata – spiega Mirella – Poi veniva a prendermi e ritornavamo a casa la sera, in reparto comunque si poteva stare 24 ore su 24. Abbiamo anche richiesto il supporto della psicologa presente in Terapia Intensiva Neonatale per i genitori. Ci è stata di grande aiuto”.
Tutto è servito: la positività dei genitori, l’approccio medico scrupoloso e la determinazione con cui le due bimbe si aggrappano alla vita. Così passano i primi 30 giorni e si vedono i progressi ma non è ancora abbastanza.
“Mi ricordo che stressavo il personale del reparto già dopo un mese: posso andare a prenotare il passeggino? Tutti mi dicevano: no Mirella, è ancora presto”. Però i passi in avanti continuano, i fili e tubicini iniziano a essere sempre meno e sempre meno invasivi e così si può iniziare con l’allattamento.
“Ogni tappa raggiunta è stata celebrata: abbiamo festeggiato il primo mezzo chilo di peso di Sofia e Ginevra così come il loro primo mese e il loro primo chilo – ci dicono i genitori – E poi il passaggio dalla terapia intensiva alla sub-intensiva. Ogni traguardo raggiunto era una festa con il personale a base di prodotti siciliani: arancini e dolci tipici, spediti dalla mia famiglia d’origine. Era il minimo che potessimo fare per ringraziarli”.
Dopo due mesi e mezzo in ospedale, arriva anche il fatidico sì all’acquisto del passeggino che preannuncia la fine del periodo buio. “Ricordo quel giorno, ero felicissima. I medici mi hanno detto: vai a scegliere il modello più bello che c’è – indica Mirella – Oggi anche dopo la dimissione e dopo 4 mesi passati al Niguarda, di frequente si ritorna in ospedale per i controlli e le visite. E ogni volta che passiamo di qui, passiamo a salutare in reparto. Per noi è un po’ come una seconda casa. Insieme ai medici e agli infermieri siamo parte di una grande famiglia allargata. Sono loro, i nostri angeli”.