Prof. Massimo Galli, presidente della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali – SIMIT: “L’applicazione del Piano Nazionale AIDS ricopre un’importanza strategica ed è la prima richiesta che la comunità scientifica rivolge al nuovo Ministro della Salute”
Roma, 28 maggio 2018 – A oltre 30 anni dall’esordio dell’epidemia da HIV in Italia molto è cambiato. Tuttavia, restano irrisolte numerose questioni, prima fra tutte la diffusione dell’infezione, che persiste, seppur con modalità che nel tempo hanno subito variazioni importanti. L’assunzione di droghe per via venosa con uso promiscuo delle siringhe non è più da tempo la causa principale di trasmissione dell’infezione; il contatto sessuale, invece, continua a essere causa di un numero non trascurabile di infezioni. Negli ultimi anni il numero delle nuove diagnosi di infezione è rimasto stabile, così come, si stima, il numero delle nuove infezioni che ogni anno si vengono a determinare. Questo, principalmente, perché gli interventi di prevenzione si sono nel tempo diradati, in parallelo con l’attenzione dedicata al problema.
Le priorità del Piano Nazionale AIDS per il nuovo Ministro – Il nuovo Piano Nazionale AIDS, redatto dalle Sezioni L e M del Comitato Tecnico-Scientifico del Ministero della Salute con il contributo di associazioni di volontariato, epidemiologi, microbiologi e clinici infettivologi, è stato approvato nello scorso ottobre dalla Conferenza Stato Regioni. Il Piano è stato concepito per delineare e realizzare interventi volti a ridurre il numero delle nuove infezioni, facilitare l’accesso al test e l’emersione del sommerso, favorire l’accesso alle cure e il mantenimento in cura dei pazienti diagnosticati e in trattamento e promuovere la lotta allo stigma ancora subito dalle persone che vivono con HIV.
“Elemento determinante del Piano – spiega il prof. Massimo Galli, presidente della SIMIT – è il coinvolgimento attivo delle Associazioni di Volontariato per la lotta contro l’AIDS, al fine di raggiungere con maggior efficacia le popolazione chiave nelle quali più elevata è la probabilità di diffusione dell’infezione. Tra gli obiettivi principali del piano vi sono l’incremento della percentuale dei casi diagnosticati e mantenuti in cura fino a raggiungere il 90% delle persone che si stimano viventi con HIV in Italia, il mantenimento di livelli di viremia <50 copie/mL in più del 90% dei pazienti in trattamento (obiettivo già in larga misura raggiunto), la riduzione a meno del 5% per anno della perdita di contatto con pazienti seguiti dai centri, la riduzione del 50% dei casi di diagnosi tardiva di infezione”.
Accordo tra Regioni e Ministero – La piena collaborazione tra le Regioni e tra Regioni e Ministero della Salute è di fondamentale importanza per la realizzazione del piano. L’applicazione del piano è di rilevanza strategica per fronteggiare validamente i nuovi connotati dell’epidemia e per restare al passo con gli interventi indicati dall’OMS ed applicati nei principali Paesi Europei. Ogni ulteriore ritardo potrebbe comportare conseguenze negative ingiustificabili.
I pazienti in cura e ben rispondenti al trattamento non sono contagiosi per via sessuale – Tra gli eventi della giornata di inaugurazione di Icar, vi è stato il convegno per i venti anni dalla fondazione di Nadir, una delle associazioni di volontariato più attive per la lotta contro l’AIDS. Nell’ambito di questa riunione si è parlato del quarto “90”, riguardante il benessere e la qualità di vita delle persone con Hiv. Questo fa riferimento a quanto sostenuto dalle Nazioni Unite relativamente al target “90-90-90”, il quale si pone un triplice obiettivo: che almeno il 90% delle persone con Hiv siano consapevoli del loro stato sierologico, di assicurare almeno al 90% di loro l’accesso alle terapie e, almeno nel 90% di questi casi, la soppressione della carica virale.
“A queste si aggiunge il quarto 90%, richiesto dalle associazioni e community – dichiara il prof. Massimo Galli – che si propone di garantire alle persone stabilmente in terapia e sotto controllo una soddisfacente qualità di vita, la sicurezza delle cure per le malattie non correlate all’infezione da HIV e la caduta dello stigma. I pazienti con HIV in cura con viremia azzerata non sono più in grado di trasmettere l’infezione. Lo affermano numerosi lavori scientifici, a partire dagli studi della coorte svizzera. Informare su questo vuol dire contribuire alla demolizione di gran parte dello stigma nei confronti delle persone sieropositive e alla comprensione dell’importanza della terapia non soltanto per la cura nel singolo, ma anche come strumento di prevenzione per la popolazione tutta”.
AIDS ed Ebola conseguenze della “Global Health” – Oggi le grandi epidemie sono e sono state amplificate anche dalle condizioni di guerra e di povertà: focolai di malattie infettive, come il colera, tuttora riemergono nelle zone più disastrate del nostro pianeta, dove infuriano guerre e carestie e soprattutto, dove manca l’acqua pulita. Oggi dobbiamo preoccuparci della capacità di virus e batteri di adattarsi ed evolvere, dei fattori legati alla crescente mobilità umana, dell’impatto dei conflitti e delle crescenti disuguaglianze di accesso alla salute.
“Quello che avremmo dovuto globalizzare, e non ci siamo ancora riusciti, è la salute – dichiara il presidente di Aifa, Stefano Vella – E’ evidente che delle più grandi sfide della medicina moderna è la lotta alle diseguaglianze nell’accesso alla salute. Il concetto di “Salute Globale” non riguarda più soltanto le cosiddette “malattie della povertà”. Perché in un mondo globale, interconnesso e sempre più ‘piccolo’, occuparsi della salute anche di chi è più lontano, significa curare e prevenire le malattie di chi ti sta accanto. E occorre finalmente comprendere che la salute globale non è soltanto un diritto fondamentale di ogni uomo che viva su questa terra, ma riguarda da vicino lo sviluppo dei popoli e la pace”.