In uno studio i benefici di un approccio medico olistico: in molti tipi di disturbi e malattie aumenta la capacità di resilienza del paziente
Padova, 26 luglio 2017 – “Qual è la cosa più importante in medicina? Non è tanto sapere che malattia ha quel paziente, ma chi è quel paziente che ha quella malattia!” in questa affermazione Ippocrate sosteneva un approccio olistico alla scienza medica, lo stesso in qualche modo che viene oggi proposto dai proff. Enrico Facco, Daniela Lucangeli e Patrizio Tressoldi nello studio On the Science of Consciousness: Epistemological Reflection and Clinical Implications, pubblicato recentemente sulla prestigiosa rivista “Explore”.
Sotto la lente di un medico (Facco) e di due psicologi (Lucangeli e Tressoldi) dell’Università di Padova è finita la coscienza. Il concetto di coscienza presenta grandi ambiguità, in relazione a cosa ciascuno intenda per ‘coscienza’. La scienza della coscienza nasce intorno agli anni Ottanta del Novecento, con un ritardo di circa quattro secoli rispetto alle altre scienze, ma ha subito scatenato un vivace dibattito.
“Si tratta di un dibattito scientifico di natura intimamente filosofica – spiega il prof. Enrico Facco – perché necessariamente non può prescindere dagli assiomi e dai modelli di realtà accettati. Ma ci sono buone ragioni per pensare che entrambe le posizioni principali all’interno del dibattito siano parziali, limitate e rigide e vadano quindi superate in una prospettiva più ampia in grado di comprendere meglio l’uomo e la natura, la quale non si cura affatto di come l’uomo cerchi maldestramente di costringerla entro i suoi schemi”.
“Il problema infatti – continua Facco – ha importanti riflessi clinici oltre che filosofici, perché l’approccio dominante non permette di comprendere e trattare appropriatamente molti disturbi, come quelli psicosomatici e, in generale, tutti quei disturbi medici senza spiegazione e senza terapia, ma anche molti pazienti con dolori cronici. Siamo infatti un’entità mente-corpo inscindibile: non esiste quindi virtualmente nessuno stimolo fisico che non possa modificare la mente e viceversa nessuna esperienza che non possa potenzialmente modificare la regolazione del corpo”.
Insomma, le malattie organiche possono modificare lo stato psichico del paziente e, a sua volta, lo stato psichico può modulare sia la regolazione corporea sia la risposta del paziente alla malattia: in questo caso è necessario un approccio olistico in grado di prendersi cura del paziente nella sua globalità e non limitarsi a curare la sola malattia organica. Rimanendo comunque quest’ultima l’aspetto fondamentale e l’approccio alla diagnosi e alla medicina scientifica non è messo in discussione.
La ricerca propone di superare i limiti della visione positivista nella scienza medica andando verso un approccio olistico che superi la malfondata separazione mente-corpo cartesiana tenendo in debito conto il ruolo della mente e della soggettività, il che consentirebbe una migliore cura di molti disturbi senza spiegazione, dei disturbi funzionali, e permetterebbe di migliorare la cura di malattie gravi, come il cancro, nella terapia palliativa dove la gravità della malattia, lo spettro della sofferenza e della morte condizionano pesantemente la vita del paziente e vanno affrontate con un approccio psicologico e filosofico-esistenziale in grado di favorire la resilienza.