In forte calo i principali inquinanti atmosferici, ma criticità da polveri sottili

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Roma, 16 marzo 2017 – In Italia, dal 1990 ad oggi, sono diminuite complessivamente le emissioni dei cinque principali inquinanti identificati dall’Unione europea come i più dannosi per la salute e gli ecosistemi naturali: biossido di zolfo (-93%), monossido di carbonio (-69%), ossidi di azoto (-61%), composti organici volatili non metanici (-57%) e polveri sottili PM2,5 (-31%). È quanto emerge dal rapporto sugli effetti dell’inquinamento dell’aria presentato oggi all’ENEA, che ha curato il coordinamento e la pubblicazione dei contenuti scientifici elaborati dai maggior esperti nazionali in materia.

“Oltre al miglioramento dell’efficienza energetica e alla diffusione delle rinnovabili, questi risultati sono stati ottenuti grazie alla combinazione di molteplici fattori: una più ampia diffusione di nuove tecnologie, limiti di emissione più stringenti nei settori energia e industria, carburanti e autovetture più ‘puliti’ e l’introduzione del gas naturale nella produzione elettrica e negli impianti di riscaldamento domestici”, spiega Gabriele Zanini, responsabile della divisione ‘Modelli e tecnologie per la riduzione degli impatti antropici e dei rischi naturali’ dell’ENEA.

L’agricoltura, in particolare la gestione dei reflui animali, ha registrato la più piccola percentuale di riduzione degli inquinanti: a fronte di un comparto responsabile di oltre il 95% delle emissioni di ammoniaca, la contrazione è stata pari solo al 17%.

Di segno opposto quanto avvenuto nel settore civile, che ha registrato un incremento del 46% delle emissioni di PM2,5 rispetto ai valori del 1990, principalmente per l’aumento dell’uso di biomassa in impianti di riscaldamento a bassa efficienza.

“In Italia resta ancora alto l’impatto negativo dell’inquinamento atmosferico sulla salute e gli ecosistemi – aggiunge Zanini – nonostante le riduzioni delle concentrazioni osservate negli ultimi due decenni. Oltre ad essere a rischio biodiversità e produttività agricola, sono in aumento tra la popolazione malattie respiratorie e cardiovascolari. Da solo il particolato fine causa circa 30mila decessi ogni anno, come risulta da un recente studio a cui abbiamo partecipato. In termini di mesi di vita persi, l’inquinamento accorcia la vita di ciascun italiano di 10 mesi in media: 14 per chi vive al nord, 6,6 al centro e 5,7 al sud e nelle isole”.

“Le emissioni di ossidi di azoto da trasporto stradale non si sono ridotte quanto atteso con l’introduzione degli standard Euro per le macchine a gasolio; i test su strada hanno mostrato che le emissioni nei cicli reali di guida sono più alte rispetto alle emissioni misurate nei test di omologazione”, sottolinea Alessandra De Marco, ricercatrice del Laboratorio Inquinamento Atmosferico dell’ENEA e tra i coordinatori del rapporto presentato oggi.

“Nonostante i significativi progressi dal 1990 a oggi – aggiunge Zanini – i più recenti scenari emissivi sviluppati dall’ENEA mostrano che siamo ancora lontani dal raggiungimento dei limiti previsti dalla direttiva NEC dell’Ue sui tetti alle emissioni al 2030, in particolare per PM2,5, composti organici volatili non metanici e ammoniaca. Ma per ridurre le emissioni sono disponibili differenti misure, da un uso più efficiente della legna da ardere nel settore residenziale, all’introduzione di una dieta a basso tenore di azoto negli allevamenti o ad un uso più efficiente dell’urea come fertilizzante. Accanto alle misure tecnologiche, occorre promuoverne altre che interessino direttamente le abitudini e gli stili di vita dei cittadini, quali il ricorso ad una dieta meno proteica o l’uso di mezzi di trasporto pubblici e meno inquinanti”.

“Tecnologie a parte – sottolinea Alessandra De Marco – in città le foreste urbane possono contribuire alla riduzione dell’inquinamento perché sono in grado di catturare gli inquinanti come polveri sottili e ozono. Un nostro studio sulla città di Firenze, realizzato in collaborazione con CNR e Università di Firenze, ha dimostrato come gli alberi in città possano abbattere del 13% il PM10 e del 5% l’ozono. Molto problematica, invece, la conservazione dei beni culturali, dove sempre un studio mostra un rischio corrosione del 26% dei siti archeologici e del 17% di chiese e conventi storici”.

“Abbiamo soluzioni che possono ridurre gli impatti – conclude Zanini – ma occorre integrare le politiche climatiche e quelle di qualità dell’aria, utilizzando misure e modelli e coordinando differenti settori scientifici e gruppi di ricerca”.

fonte: ufficio stampa

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