La beffa: per medici e dirigenti precari nessun provvedimento nuovo, ma solo una parziale proroga di norme già esistenti, di comprovata inefficacia. Solo propaganda. La provocazione: incredibile proroga del taglio dei fondi per lo stipendio accessorio. Continuano a tagliare gli stipendi, altro che rinnovo dei contratti. Le distanze con governo e regioni aumentano. Inevitabile la mobilitazione
Roma, 24 febbraio 2017 – Il cosiddetto decreto “di riforma della pubblica amministrazione” è una beffa per medici sanitari e dirigenti: viene ribadito che la sanatoria non riguarda i dirigenti, viene solo prorogata la possibilità, ma solo per il “personale medico tecnico-professionale e infermieristico del Servizio sanitario nazionale” di “concorsi straordinari” per adeguarsi alla normativa comunitaria sull’orario di lavoro (per la quale peraltro la comunità europea sta valutando la possibilità di riapertura della procedura di infrazione). E’ la proroga della legge 208/2015 già dimostratasi largamente insufficiente e in parte inapplicata e inapplicabile per i vincoli finanziari.
Questo il commento della Confederazione dei Medici e Dirigenti sanitari alla riforma del pubblico impiego approvata dal Governo.
Paradossalmente le aziende sanitarie potranno continuare a stipulare nuovi contratti di lavoro flessibile, non meglio specificati, fino al 31.10.2018.
Non viene nemmeno richiamato il DPCM previsto dalla legge 125/2013 (art.4 commi 6,7,8,9) che prevedeva concorsi riservati estesi a tutta l’area della dirigenza medica e del ruolo sanitario, un provvedimento che ha sortito limitati effetti, ma tuttora valido fino al 31.12.2018.
Per gli oltre 12.000 dirigenti precari della pubblica amministrazione (di cui 9500 medici e sanitari) nulla di buono nessun provvedimento nuovo ma solo una parziale proroga di norme già esistenti e un ulteriore discriminazione rispetto ai restanti comparti del pubblico impiego. Nonostante le rassicurazioni verbali ricevute nell’incontro alla Funzione pubblica del 16 febbraio scorso.
Sul fronte contrattuale si passa dalla beffa alla provocazione: con un articolo fuori delega viene recepito dal governo il reiterato disegno delle Regioni, già architettato senza successo nella legge di bilancio e nel milleproroghe che proroga il blocco dei fondi aziendali fino alla stipula del nuovo contratto. In precedenza il blocco sarebbe scaduto con il varo del testo unico ovvero entro il primo semestre 2017.
In pratica le risorse che si libereranno dal salario di quanti andranno in pensione non resteranno nei fondi aziendali per mantenere la massa salariale dei dipendenti rimasti in servizio, ma saranno introitate dalle aziende. Inoltre se vi sarà incremento di personale, la parte accessoria resterà invariata e l’onere delle nuove assunzioni ricadrà per la parte variabile sui dipendenti in servizio. Si tratta della prosecuzione del taglio progressivo degli stipendi già iniziato nel 2010.
Incredibili le motivazioni: “assicurare la semplificazione amministrativa, valorizzazione del merito, garantire i livelli di efficienza” per questo il governo procede a tagliare proprio i fondi per il merito, il disagio e la produttività. Un provvedimento assurdo e contraddittorio.
L’entità di questi tagli progressivi dal 2010 è ben superiore agli aumenti contrattuali ipotizzati e rendono praticamente impossibili i rinnovi contrattuali. Chiamano “sperimentazione” la reiterazione della legge Tremonti ma le cavie sono sempre le stesse.
La misura è colma: non consentiremo che la realtà dei fatti venga stravolta dalla propaganda politica, il governo non vuole risolvere i problemi e continua con false promesse, false riforme e tagli veri al servizio pubblico e ai suoi dipendenti.
fonte: ufficio stampa