Secondo le stime di AIDEPI, l’import di grano duro di qualità salva più della metà della produzione nazionale, che in alcuni anni, come sta succedendo nel 2016, rischia di non avere i requisiti di legge per essere utilizzata per la pastificazione e sarebbe quindi messa in commercio per l’alimentazione animale (deprezzandosi del 50%). Felicetti, presidente pastai di Aidepi: “Falso e fuorviante accusare i pastai di speculare sui prezzi del grano. Gli industriali, esattamente come gli agricoltori, subiscono le leggi dei mercati globali”
Roma, 1 agosto 2016 – Grano estero killer della produzione italiana? Semmai è vero il contrario. In realtà l’import di grano estero di qualità salva il mito della pasta italiana: il suo gusto, la sua competitività internazionale e l’occupazione di 120 aziende pastaie e 300mila aziende agricole italiane. Lo rivela AIDEPI (Associazione delle Industrie del Dolce e della Pasta Italiane) in occasione dell’ennesima manifestazione di protesta di Coldiretti per la “tutela del grano italiano”.
“Purtroppo, l’origine italiana del grano duro non è in sé sinonimo di qualità – afferma Riccardo Felicetti, presidente dei pastai di AIDEPI. Negli ultimi 7 anni (fonte ISMEA su dati CRA-QCE) i valori proteici del grano duro italiano sono stati molto prossimi al 12%. Spesso anche inferiori. Al limite, dunque – considerando il calo di circa 1 punto percentuale nella trasformazione da grano a semola – dei parametri stabiliti dalla legge di purezza (10,5%) e ampiamente al di sotto delle esigenze necessarie per produrre una pasta di alta qualità. Per questa ragione, anche in anni, come questo, di produzione abbondante, rimane necessario importare grano duro estero di qualità top (in genere tra il 30 e il 40% del totale) per ‘rinforzare’ la miscela della semola utilizzata dagli industriali della pasta”.
Secondo l’Associazione, dunque, senza importazione di grano estero di qualità, gli agricoltori, paradossalmente, rischierebbero di vendere all’industria meno grano, cioè solo quello che raggiunge i parametri qualitativi della materia prima previsti dalla legge di purezza, che da quasi 50 anni (legge n. 580 del 4 luglio 1967) fissa le regole della qualità della nostra pasta. Il resto, senza il blend con grano estero di alta qualità, potrebbe essere venduto solo per l’alimentazione animale, con una perdita dei ricavi per gli agricoltori di circa il 50%.
Quando si sostiene che il grano estero è di bassa qualità e viene scelto perché costa poco, si stanno dicendo due cose non vere. Quello canadese, per esempio, negli ultimi 50 anni ha avuto valori medi di proteine del 14,5% (e proprio per questo è stato sempre pagato circa il 15-20% in più di quello nazionale). Stessa cosa per il grano francese e americano, anche qui a fronte di valori proteici spesso superiori al 15% si afferma un differenziale di prezzo del +20-25%.
L’accusa di speculare sui prezzi del grano rivolta ai pastai italiani non regge alla prova dei fatti e su questo punto la posizione di AIDEPI è netta: gli industriali, esattamente come gli agricoltori, subiscono le leggi dei mercati globali. Nel 2008 hanno dovuto pagare il grano duro 500 euro alla tonnellata, vivendo una crisi che ha messo in difficoltà il settore. E se oggi il prezzo del grano duro in Italia è calato del 42% rispetto al 2015 (anno di picco per una cattiva stagione internazionale), è anche vero che risulta più alto di circa il 20% rispetto al 2010. Le fluttuazioni non dipendono dai pastai ma dalle leggi di mercato. Le ragioni dell’attuale calo dei prezzi del grano duro vanno ricercate nella stagione che si annuncia straordinaria per il grano canadese: raccolto record e qualità top per circa il 93% della materia prima. Mentre il grano duro italiano, pur abbondante rispetto alle annate precedenti, nel 2016 risulta, purtroppo, per circa l’80% di medio-bassa qualità.
Ma cosa accadrebbe se si producesse pasta fatta di solo grano italiano? Le ricadute negative non sarebbero solo per il comparto agricolo, ma anche per i consumatori italiani: secondo AIDEPI, mangeremmo tutti meno pasta. Dovremmo rinunciare a 3 pacchi su 10. E quella prodotta rischierebbe di essere, in media, di minore qualità. Certo, resterebbero le produzioni (eccellenti) di quei pastifici che hanno scelto di utilizzare esclusivamente grano italiano di qualità. Ma questo non significa che tutto il grano nazionale in purezza possa sopperire alle richieste quali/quantitative di produttori e consumatori, in Italia e nel mondo. In pratica, non garantiremmo a tutti la consistenza “al dente”. Con il rischio di una migrazione verso cereali alternativi e con buona pace della dieta mediterranea.
Mentre in Italia noi ci dividiamo – agricoltori e industriali – all’insegna dello slogan autolesionistico di “guerra del grano”, all’estero ci sono competitori aggressivi (come la Turchia e la stessa Russia) che stanno erodendoci quote di mercato: lo scorso anno abbiamo perso quasi il 6%. Secondo AIDEPI, “la strada giusta è nel dialogo costruttivo e nel percorso avviato dalla ‘Cabina di regia della pasta’. Una delle soluzioni potrebbe essere negli accordi di filiera che molte aziende hanno già avviato con gli agricoltori: Se si punta sulla qualità i guadagni per gli agricoltori possono crescere anche del +20%”.
fonte: ufficio stampa