Roma, 20 maggio 2016 – In Italia circa 500.000-700.000 pazienti, su 10 milioni di ricoverati l’anno, contraggono un’infezione ospedaliera, con percentuali che oscillano fra il 5 e il 17%. La mortalità raggiunge il 3%. Tra questi, i pazienti chirurgici rappresentano una categoria molto significativa. Il paziente chirurgico che muore, generalmente in Terapia Intensiva, a seguito di complicanze se non muore per una infezione certamente muore con una infezione.
Pur riconoscendo la validità e la fondamentale importanza degli avanzamenti tecnologici nel campo del sostegno alle funzioni vitali, non vi è dubbio che, al di là della prevenzione, la vera e più efficace terapia etiologica delle infezioni e sepsi chirurgiche restino il tempestivo trattamento chirurgico – il cosiddetto source control – e quello antibiotico e/o antifungino.
Il Master Sepsi in Chirurgia, diretto dal prof. Gabriele Sganga, docente dell’Istituto di Clinica Chirurgica dell’Università Cattolica nonché Chirurgo della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli di Roma, promuove oggi e domani un meeting indirizzato per lo più a chirurghi, intensivisti e infettivologi su “Infezioni in chirurgia”.
I docenti sono prevalentemente costituiti da specialisti del Policlinico Gemelli a dimostrazione di quanto questa struttura ospedaliera abbia costruito nel tempo una importante e riconosciuta expertise in questo ambito. Si alternano microbiologo (prof Maurizio Sanguinetti), intensivista (prof. Massimo Antonelli), radiologo interventista (prof. Alessandro Cina), infettivologi (proff. Massimo Fantoni e Mario Tumbarello). A completare la Faculty il prof Christian Eckmann, chirurgo di fama internazionale di Peine in Germania, da sempre impegnato sul fronte delle infezioni e sepsi in chirurgia.
“Le infezioni in chirurgia – spiega Sganga – avvengono per lo più dopo chirurgia addominale sia per patologie contratte a domicilio (per lo più appendiciti, colecistiti e perforazioni), sia per peritoniti post-operatorie: incidono da un 10-20% sino a un 30-40%, con un trend più elevato per i malati di ‘passaggio’ in una Terapia Intensiva”.
I progressi tecnologici e farmacologici nelle cure post-operatorie hanno contribuito ad ampliare le possibilità di cura chirurgica di molte malattie soprattutto oncologiche e a ridurne la mortalità, ma inevitabilmente si è assistito a un maggiore rischio di infezioni batteriche prima, e fungine dopo. L’uso di cateteri intravascolari e non, la nutrizione artificiale, gli antibiotici, la ventilazione meccanica, l’emodialisi, i reinterventi chirurgici e tanti altri fattori contribuiscono ad aumentare l’incidenza di tali infezioni.
La diagnosi precoce è resa difficile dalla mancanza di segni clinici specifici e ancora dalla difficoltà di una diagnosi microbiologica immediata. Proprio per questo è assai importante riconoscere i pazienti ad alto rischio e iniziare una appropriata terapia empirica il più presto possibile. Numerosi studi hanno dimostrato che un ritardo nell’inizio della terapia appropriata aumenta la mortalità di almeno il 20-30%.
“Non identificare queste infezioni – conclude Sganga – può essere letale. Lo scopo di questo Meeting è di sensibilizzare noi chirurghi a questa problematica e di facilitare l’interazione e la cooperazione con tutti gli specialisti (microbiologi, infettivologi, intensivisti, farmacologi clinici, radiologi, ecc.) che ruotano intorno alla diagnosi e cura di tale complicanza post-chirurgica dotata ancora di elevata morbilità e mortalità”.
fonte: ufficio stampa