I progetti di sensibilizzazione degli Oncologi nella Prima Giornata Nazionale della Salute della Donna. Nel 2015 le cittadine colpite dalla malattia sono state 169mila. Il prof. Carmine Pinto, presidente AIOM: “Aumentano le guarigioni, ma preoccupa la diffusione del vizio del fumo”. Il cancro del polmone è sempre più al femminile: in un ventennio i casi sono cresciuti del 36%
Roma, 22 aprile 2016 – Oggi in Italia vivono più di un milione e 650mila donne dopo una diagnosi di tumore (nel 2010 erano circa un milione e 430mila). Le percentuali di sopravvivenza a 5 anni globalmente migliorano in maniera significativa, infatti dal 1990 al 2007 sono aumentate del 10%, passando dal 53% al 63%. E in una delle neoplasie femminili più frequenti, quella del seno, raggiungono l’87%.
“I progressi nella lotta contro queste malattie sono stati straordinari – afferma il prof. Carmine Pinto, presidente nazionale AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica), nel corso della Prima Giornata Nazionale della Salute della Donna oggi a Roma – Nel 2015 i tumori hanno colpito 169mila italiane. Grazie alla diagnosi precoce salviamo molte vite e una donna su due guarisce se la malattia è individuata in fase iniziale.
Inoltre riusciamo a far sopravvivere le pazienti più a lungo e con una migliore qualità di vita. Resta però l’ombra preoccupante rappresentata dal vizio del fumo. Il 23% delle italiane è tabagista, con ricadute evidenti: tra il 1999 e il 2010 l’incidenza del tumore del polmone è diminuita del 20% tra gli uomini, mentre si registra un +36% fra le donne. È importante promuovere campagne di sensibilizzazione rivolte soprattutto alle ragazze più giovani, perché la prima sigaretta viene accesa proprio per il desiderio di emulazione. La nostra società scientifica promuove ‘Meglio smettere!’, il primo progetto di educazione rivolto agli studenti delle scuole medie sui rischi del fumo, che ha come testimonial la campionessa di tennis Flavia Pennetta”.
Prevenzione primaria seguendo uno stile di vita sano (no al fumo, dieta corretta e attività fisica costante) e screening restano le armi principali, in particolare la mammografia con cadenza biennale (fra i 50 e i 69 anni) per la diagnosi precoce del tumore del seno, il Pap test (fra i 25 e i 64 anni) ogni 36 mesi per il cancro del collo dell’utero, e il test per la ricerca del sangue occulto nelle feci ogni 24 mesi per individuare la neoplasia del colon retto (nelle persone tra i 50 e i 69 anni). L’adesione agli screening va fortemente implementata e sostenuta, in particolare nel biennio 2011-2012 solo il 60% delle italiane ha eseguito la mammografia e il 41% il Pap test.
“Anche la vaccinazione contro il Papilloma Virus Umano (HPV) è uno strumento importante di prevenzione contro una delle neoplasie più frequenti nelle under 50, il tumore del collo dell’utero, che nel 2015 in Italia ha fatto registrare circa 2.100 nuovi casi – sottolinea la dott.ssa Stefania Gori, presidente eletto AIOM – Ma nel nostro Paese solo il 70% delle dodicenni aderisce ai programmi di profilassi, quindi tre ragazze su dieci non sono coperte. Per sensibilizzare i cittadini, l’AIOM ha realizzato la prima guida al vaccino anti-HPV distribuita in tutte le Oncologie del nostro Paese e nelle farmacie”.
Non sempre è possibile individuare in fase iniziale il tumore. “Nel caso particolare del cancro dell’ovaio, che ogni anno colpisce circa 4.800 italiane – continua la dott.ssa Gori – la diagnosi precoce è particolarmente difficile a differenza di quanto avviene in quello del seno, perché non vi sono sintomi che la permettano. Con la conseguenza che l’80% delle diagnosi avviene in stadio avanzato e, in questi casi, la sopravvivenza a 5 anni delle pazienti è solo del 35%. I test genetici rappresentano un’arma in più a nostra disposizione per sconfiggere questa neoplasia. Attraverso un semplice prelievo di sangue è possibile sapere se una paziente con carcinoma ovarico risponderà positivamente o meno ad alcuni farmaci. L’esame influisce sulla decisione del tipo di terapia e quindi deve essere facilmente accessibile per tutte le donne e i risultati disponibili in tempi compatibili con le necessità cliniche. Deve però essere svolto seguendo i criteri stabiliti dagli specialisti”.
Per questo l’AIOM ha stilato specifiche raccomandazioni contenute in un documento sull’uso del test genetico BRCA nella cura del carcinoma ovarico, firmato insieme alla Società Italiana di Genetica Umana (SIGU), alla Società Italiana di Biochimica Clinica e Biologia Molecolare Clinica (SIBioC) e alla Società Italiana di Anatomia Patologica e Citologia diagnostica (SIAPEC-IAP). Se una paziente affetta da carcinoma ovarico risulterà avere la mutazione di BRCA, si aprirà inoltre la possibilità di valutare le donne sane della sua famiglia e permettere quindi di identificare donne sane predisposte ad ammalarsi: in tal caso possiamo iniziare percorsi di sorveglianza attiva per arrivare ad una diagnosi precoce di carcinoma ovarico/mammario oppure avviare la donna a chirurgia profilattica per ridurre il rischio (mai azzerato) di ammalarsi di carcinoma ovarico/mammario”. I cinque tumori più frequenti nelle donne sono quelli del seno (29%), seguito da colon-retto (13%), polmone (6%), tiroide (5%) e corpo dell’utero (5%). Ogni anno 5.000 donne nel nostro Paese devono confrontarsi con il cancro quando ancora potrebbero diventare madri.
“Per le giovani è fondamentale poter conservare la fertilità per avere una chance di diventare genitori dopo le cure oncologiche, che in molti casi mettono a rischio la capacità riproduttiva – conclude il prof. Pinto – Le tecniche standard o sperimentali di preservazione della fertilità, che possono essere effettuate presso i centri di Procreazione Medicalmente Assistita, sono sostanzialmente il congelamento del liquido seminale per gli uomini e la criopreservazione degli ovociti ed anche di tessuto ovarico nelle donne. Il materiale biologico può rimanere crioconservato per anni ed essere utilizzato quando il paziente ha superato la malattia. Purtroppo il tema della preservazione della fertilità è stato troppo spesso sottovalutato. Per questo è necessario che si operi in due direzioni. Da un lato, va creata la rete organizzativa dei centri in rete con strutture altamente specializzate. Dall’altro lato, è necessario consentire, sotto una stretta sorveglianza dell’oncologo e del ginecologo, la prescrivibilità dei farmaci necessari per le pratiche di conservazione della fertilità”.
fonte: ufficio stampa