Welfare e famiglia. In Italia crescono le richieste di permessi retribuiti per la Legge 104

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Nel nostro Paese, i caregiver familiari sono oltre 3 milioni, una risorsa trascurata dal Servizio Sanitario Nazionale. L’assistenza familiare e la valorizzazione dei caregiver al centro di Exposanità, l’unica manifestazione italiana dedicata ai temi della salute e dell’assistenza

assistenza-anzianiBologna, 20 aprile 2016 – Sono sempre di più le famiglie che si fanno carico della cura di parenti bisognosi di assistenza. Se si guarda agi ultimi dati Inps disponibili, relativi alle richieste di congedo per l’accudimento di familiari sulla base della Legge 104, si vede come in Italia si sia passati dagli oltre 218.700 permessi concessi del 2010 agli oltre 319.800 del 2014 (+46,2%).

In particolare, nell’assistenza ad anziani, disabili, ammalati cronici e soggetti fragili che richiedono una presenza continuativa, il nostro servizio sanitario può contare sulla forza di oltre 3 milioni e 300 mila persone. Sono i caregiver familiari, uomini ma soprattutto donne (63,4%), che senza alcuna retribuzione fanno dell’assistenza a padri e madri (49,6%) o al proprio coniuge/partner (34,1%) la propria professione, occupandosi di loro, in media, per circa 18 ore al giorno (7 di cura diretta e 11 di sorveglianza).

In un anno i caregiver italiani prestano assistenza per oltre 7 miliardi di ore, che si traducono in un risparmio effettivo per il SSN, in aggiunta agli oltre 10 miliardi che le famiglie pagano annualmente per lavoro privato di cura e le cosiddette spese ‘out of pocket’ (spese sanitarie, farmaci, ausili/attrezzatura e così via) che hanno superato i 33 miliardi annui (fonte Censis, 2014).

Per dare voce a questi protagonisti attivi della definizione e gestione del percorso assistenziale, Exposanità, l’unica manifestazione italiana dedicata ai temi della salute e dell’assistenza (Bologna Fiere, 18-21 maggio 2016) ospiterà il convegno “Caregiver familiare, risorsa chiave nell’integrazione sociosanitaria e nella cura a lungo termine” organizzato da “Anziani e non solo”, la società cooperativa che da oltre 10 anni si batte per i diritti dei caregiver e che ha ispirato la legge per il riconoscimento del caregiver familiare approvata dalla Regione Emilia Romagna (esempio sulla cui base sono stati presentati disegni di legge in sei regioni) e più recentemente quella presentata a Montecitorio a fine marzo.

“La legge emiliano-romagnola – commenta Loredana Ligabue, direttrice della cooperativa Anziani e non solo – sta entrando nella fase attuativa e in Sardegna, come in altre regioni italiane, si condividono le finalità e si avanzano proposte di legge per riconoscere il ruolo di chi si prende cura di un proprio caro. È un bilancio importante che si arricchisce della presentazione di una proposta di legge quadro. I contenuti dei testi di legge hanno trovato il sostegno delle molteplici associazioni di volontariato, di patologia e delle organizzazioni europee come Eurocarers e Coface – prosegue Loredana Ligabue – Ora tocca alla politica fare i prossimi passi. Proseguiremo con impegno a dare sostegno a tutti quei parlamentari che hanno voluto o vorranno operare per dare risposte ai problemi quotidiani dei caregiver. Ma è essenziale, oltre al percorso legislativo, continuare l’azione di ascolto e confronto con i familiari, gli operatori professionali, i volontari, gli enti locali”.

La necessità della tutela a livello legislativo del ruolo emerge anche dall’impatto sul lavoro che comporta l’assistenza quotidiana di un familiare: il 66% dei caregiver ha dovuto abbandonare la propria posizione lavorativa, rimanendo di conseguenza in media fino a dieci anni fuori dal mercato del lavoro. Si aggira invece sul 10% la percentuale di chi ha richiesto il part-time o ha dovuto cambiare professione.

La situazione diventa drammatica quando la perdita totale del salario o la riduzione delle ore lavorative, in aggiunta ai costi di cura sempre più elevati, ha ripercussioni dirette sul reddito delle famiglie, aumentando il rischio di povertà. Altro fattore allarmante, spesso sottovalutato dai caregiver stessi, è la precarietà dello stato di salute di chi accudisce familiari che necessitano di cure continuative. Eccessiva responsabilità, forte carico emotivo e stress psicofisico a cui queste figure sono sottoposte ogni giorno implicano infatti un’alta eventualità di sviluppo di depressione, ansia, insonnia e perdite di difese immunitarie.

“La tutela e il riconoscimento dei caregiver è tanto più importante – afferma Marilena Pavarelli, project manager di Exposanità – quando questo ruolo è ricoperto da giovani e giovanissimi. L’intergenerazionalità del fenomeno è evidente dal dato che riguarda gli i giovani coinvolti: in Italia sono 169mila i ragazzi fra i 15-24 anni che si occupano quotidianamente di adulti o anziani. Una fascia di popolazione anch’essa fragile, che deve assumersi responsabilità tali che rischiano di compromettere i progetti di vita”.

Ancora più sorprendente è la presenza di bambini più piccoli che si ritrovano ad assistere genitori malati o fratelli disabili. Dall’unica indagine esistente in Italia ad oggi, condotta da “Anziani e non solo” in un istituto professionale di Carpi, è stato rivelato che il 21,9% degli studenti ricopre il ruolo di caregiver di un familiare adulto. Essere un giovane caregiver comporta conseguenze sul rendimento scolastico, sulle relazioni con i coetanei ed espone anche al rischio di sviluppare malattie: se negli adulti che accudiscono familiari bisognosi è stato riscontrato il doppio di probabilità di avere problemi di salute, si può arrivare fino al triplo quando si tratta di ragazzi di un’età compresa tra i 18 e 25 anni.

“Benché siano situazioni difficili da gestire specialmente per chi è molto giovane, ci sono anche degli aspetti positivi: le ricerche riportano come l’autostima nelle proprie capacità e il senso di responsabilità e maturità dei giovani caregiver sia decisamente più alto dei coetanei – afferma Loredana Ligabue – i ragazzi sviluppano anche delle competenze tecniche e trasversali che poi possono essere impiegate in campo professionale. Il riconoscimento dell’attività di chi presta assistenza ha come obiettivo la valorizzazione delle abilità acquisite dai giovani caregiver che verrebbero supportati nell’entrata nel mercato del lavoro sia con crediti formativi sia con percorsi formativi mirati”, conclude Ligabue.

fonte: ufficio stampa

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