Fino a 1.350-2.100 decessi per infezioni ospedaliere prevenibili in un anno. È quanto è emerso oggi nel corso dell’evento “Strategie di prevenzione e cura delle infezioni da germi multiresistenti nel paziente ospedalizzato” patrocinato da Regione Lombardia, Istituto Superiore di Sanità, Age.na.s., SIMPIOS, AMCLI, SIMIT e SITA
Milano, 19 aprile 2016 – Le infezioni ospedaliere rappresentano la complicanza più frequente e grave dell’assistenza sanitaria. Anche se in Italia non esiste un sistema di sorveglianza stabile, sono stati condotti numerosi studi multicentrici di prevalenza.
Sulla base di questi studi si può stimare che in Italia il 5-8% dei pazienti ricoverati contrae un’infezione ospedaliera. Ogni anno si verificano in Italia 450-700 mila infezioni in pazienti ricoverati in ospedale (soprattutto infezioni urinarie, seguite da infezioni della ferita chirurgica, polmoniti e sepsi). Di queste, si stima che circa il 30% siano potenzialmente prevenibili (135-210mila) e che siano direttamente causa di decesso nell’1% dei casi (1.350-2.100 decessi prevenibili in un anno).
Per questa ragione, le patologie infettive continuano a rappresentare una priorità per la sanità pubblica, in particolare in ambito ospedaliero. “La definizione di tutte le strategie per prevenire queste patologie, è già stata avviata da tempo e con successo soprattutto nei riguardi delle infezioni sostenute da virus, nello specifico HIV e HCV- dichiara il prof. Paolo Grossi, Direttore Divisione Malattie Infettive e Tropicali dell’Ospedale Circolo di Varese e presidente dell’evento – Questo tema rappresenta il cuore della manifestazione odierna volta anche a sensibilizzare un’audience multidisciplinare e rappresentativa di tutti coloro che sui versanti clinico, amministrativo e normativo sono direttamente coinvolti con le infezioni ospedaliere e le urgenti problematiche ad esse connesse”.
Fin dal loro primo apparire gli antimicrobici e più specificatamente gli antibiotici e gli antifungini sono stati salutati come l’arma definitiva contro i microorganismi e le malattie che ad essi erano direttamente imputabili. Purtroppo tale ottimistica previsione è stata rapidamente smentita perché cancellata dalle cosiddette resistenze microbiche, ossia quei meccanismi, in special modo i batteri, che rendono le molecole antimicrobiche sostanzialmente prive di azione.
A ciò contribuiscono sia le già citate resistenze microbiche, che stanno sempre un passo avanti la ricerca farmacologica, sia le condizioni di alcune popolazioni di pazienti quali ad esempio gli immunosoppressi e gli anziani politrattati.
I dati contenuti nel report European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) del 2014 sullo studio delle antibiotico resistenze a livello europeo dimostrano che:
- l’Italia è tra i primi paesi in Europa per il volume di antibiotici usati nell’uomo ed è al primo posto per l’uso di antibiotici in agricoltura e allevamenti;
- in Italia l’antibiotico resistenza è tra le più elevate in Europa ed è quasi sempre al di sopra della media europea;
- nel quadriennio 2010-2013 nelle specie Gram-negative si è osservato un trend delle resistenze in aumento che riguarda: fluorochinoloni, cefalosporine di terza generazione e aminoglicosidi per e.coli e K. Pneumoniae, piperacillina+tazobactam, ceftazidimine, aminoglicosidi per P.aeruginosa;
- drammatico è stato l’aumento della resistenza ai carbapenemici per K.pneumoniae (KPC): da meno dell’1% nel 2008 al 34% nel 2013;
- i dati per i Gram-positivi sono stabili, ma elevati: il 14% la resistenza alla penicillina e 25% ai macrolidi in s.pneumoniae; 36% la resistenza alla meticillina per S.aureus;
- le resistenze più alte sono al Centro e al Sud rispetto al Nord Italia, in relazione con il maggior consumo umano di antibiotici registrato in queste aree geografiche.
L’aumento della resistenza, la pressione esercitata per ridurre l’utilizzazione di antimicrobici, le condizioni di mercato poco incoraggianti, nonché la messa a punto sempre più difficile e costosa di nuovi antibiotici efficaci non hanno favorito gli investimenti in questo campo. Di conseguenza il numero di nuovi antibiotici in fase di sviluppo è esiguo.
fonte: ufficio stampa