Roma, 25 giugno 2022 – Sette interventi per una radicale trasformazione della sanità: migliorare le condizioni del lavoro ospedaliero e ricostruire un sistema che privilegi, anche per la carriera, i valori professionali rispetto a quelli organizzativi e aziendali; aumentare le retribuzioni, detassando gli incrementi contrattuali e il salario accessorio, compensando il rischio contagio, incrementando il valore del rapporto esclusivo; attribuire un nuovo stato giuridico alla dirigenza sanitaria, nel segno della dirigenza ‘speciale’, e riconoscere il loro ruolo peculiare attraverso forme di partecipazione ai modelli organizzativi e operativi; introdurre il contratto di formazione/lavoro per gli specializzandi e riformare la formazione post-laurea; attuare politiche di assunzioni che recuperino i tagli del passato, che escludano il precariato e riducano la eterogeneità nei rapporti di lavoro ospedaliero; completare la legge sulla responsabilità professionale con il passaggio a un sistema “no fault” sul modello europeo; assumere il contratto di lavoro come strumento di innovazione del sistema e di governo partecipato.
Un vero e proprio Piano Marshall quello presentato oggi dal Segretario Nazionale uscente dell’Anaao Assomed, Carlo Palermo nella sua relazione al 25° Congresso Nazionale dell’Associazione in corso a Napoli.
Il personale, medico soprattutto, del SSN – sostiene Palermo – “il nostro bene più grande” secondo il Ministro Speranza, è scomparso dal radar della politica del cambiamento. Frustrato e insoddisfatto, numericamente carente, mal pagato, demotivato, stressato e oberato di burocrazia, continua a vivere pessime condizioni di lavoro, cui l’emergenza pandemica ha dato il colpo di grazia amplificandone oltre ogni misura il disagio.
Ma il Governo non può ignorarne ruolo e malessere. Lo scatto che oggi serve alla sanità è, soprattutto, la valorizzazione del suo “capitale umano” attraverso una profonda innovazione dell’organizzazione e della governance del sistema”.
Le principali criticità e gli interventi proposti dall’Associazione.
Le liste d’attesa e il rischio di privatizzazione del SSN
Le prestazioni sanitarie non effettuate nel periodo dell’emergenza pandemica si contano in milioni di visite specialistiche, accertamenti diagnostici, ricoveri, interventi chirurgici, procedure di screening per tumori, con decine di migliaia di mancate diagnosi. Una montagna di richieste inevase ha portato le liste di attesa a misurarsi in semestri, se non in anni, con una incidenza non trascurabile su qualità e durata della vita dei Cittadini.
E non basteranno certo le risorse economiche stanziate per incentivare medici e infermieri a lavorare oltre il debito orario contrattuale, anche perché non può essere considerata attrattiva una retribuzione oraria di appena 60€ lordi ovviamente (produttività aggiuntiva) per lavorare magari di notte e nel week end.
In mancanza di adeguate risorse, la prospettiva è quella di una privatizzazione lenta ma inesorabile del nostro SSN per arrivare a un sistema duale: uno povero e residuale per i poveri e uno ricco in risorse, tecnologie e professionalità, sostenuto da assicurazioni e fondi “integrativi”, per i ricchi.
Il disagio medico: la grande fuga dagli ospedali
Negli ultimi 3 anni il SSN ha perso quasi 21mila medici specialisti. Dal 2019 al 2021 hanno abbandonato l’ospedale 8.000 camici bianchi per dimissioni volontarie e scadenza del contratto a tempo determinato e 12.645 per pensionamenti, decessi e invalidità al 100%. Se il trend fosse confermato, tra pensionamenti e dimissioni si arriverebbe a una perdita complessiva di 40.000 medici specialisti entro il 2024.
Ma cosa cercano i medici? Cercano orari più flessibili, maggiore autonomia professionale, minore burocrazia, valorizzazione delle competenze, più tempo da dedicare ai pazienti e alla propria vita privata. Per evitare il disastro è necessario procedere alla rapida stabilizzazione del precariato aumentando le risorse, superando i limiti della legge “Madia”, e serve un cambiamento radicale nella formazione post-laurea.
La soluzione consiste nella trasformazione del contratto di formazione attuale in un contratto a tempo determinato di formazione/lavoro con oneri previdenziali e accessori a carico delle Regioni e nel conseguente inserimento dei giovani medici nella rete ospedaliera regionale.
La crisi del Pronto Soccorso: specchio della crisi dell’intero sistema
La trasformazione dei PS da strutture deputate all’emergenza e all’urgenza in ambienti inadeguati, insicuri e, non di rado, indecenti, ha la sua prima causa nel fenomeno della lunga attesa di un posto letto che non c’è a causa dei tagli che hanno introdotto più “moderni” posti barella. Nei PS non mancano solo posti ma anche personale e le risposte che molte Regioni mettono in campo hanno le stigmate della disperazione e le soluzioni appaiono rabberciate, spesso con ricadute peggiori del problema che vorrebbero risolvere.
Si pensi all’intervento delle Cooperative cui viene appaltata la copertura dei turni di servizio, un fenomeno che ha assunto le caratteristiche di una vera e propria sostituzione del sistema pubblico con quello privato.
Servono investimenti, un aumento della spesa corrente per adeguare gli organici, ridurre il disagio per il sovraccarico lavorativo, aumentare le retribuzioni, prevedere per il sistema dell’emergenza/urgenza interventi dedicati come una indennità economica specifica, riconoscimento di vantaggi previdenziali per il lavoro disagiato svolto, assegnazione di 10 giorni aggiuntivi di ferie annuali per favorire il recupero psico-fisico, incremento delle indennità notturne e festive, garantendo l’applicazione del contratto di lavoro.
Cosa manca nella mission 6 del PNRR?
Nel PNRR manca il minimo accenno alla necessità di aumentare le dotazioni organiche negli ospedali, anche per affrontare con finanziamenti strutturali, ovviamente a carico del FSN, la pandemia sommersa creata dalle decine di milioni di prestazioni negate e rinviate causa Covid-19.
Le criticità disvelate dalla pandemia, figlie della scure di ieri richiedono, per l’Anaao, politiche aggiuntive:
- migliorare la capacità di adeguamento rapido della risposta ospedaliera nei confronti di picchi di domanda derivanti da nuove emergenze epidemiologiche;
- progetti per minimizzare l’impatto che nuove ondate epidemiche o altri tipi di maxi emergenze potrebbero determinare sul trattamento delle patologie «ordinarie», sia acute che croniche;
- azioni specifiche per migliorare il profilo sanitario delle Regioni che non riescono a garantire i Livelli Essenziali di Assistenza, al fine di ridurre il fenomeno della migrazione sanitaria;
- attenzione al “capitale umano”.
Il mancato rinnovo dei contratti: un diritto sindacale calpestato
Il contesto macroeconomico in cui dovranno essere rinnovati i contratti della Sanità 2019/2021 sta rapidamente mutando. Riprende a correre l’inflazione fino al 6,9%, un livello che non veniva toccato dal 1986. Gli incrementi contrattuali previsti a regime, poco al di sopra del 4% della massa salariale, sono stati già riassorbiti da un rialzo dell’inflazione che rischia di durare anche nel 2023.
Intanto la crescita economica viene rivista al ribasso. In area euro, per il 2022 siamo scesi al 2,7% rispetto al dato precedente del 4% di incremento. Mentre per il 2023 è prevista al 2,3%. Ma la mancata applicazione in periferia del CCNL 2016/2018, firmato il 19 dicembre 2019, quindi subito prima della crisi epidemica, la latitanza del CCNL 2019/2021, già scaduto ma nemmeno avviato alla contrattazione e il rinvio a un incerto futuro del CCNL 2022/2024, sono elementi che non possono che influire negativamente sulla possibilità di difendere il potere di acquisto della nostra categoria nell’attuale contesto economico e sulle scelte dei Colleghi, che decidono di abbandonare il luogo di lavoro per la scarsa considerazione che il sistema mostra nei loro confronti.
Il regionalismo differenziato
La pandemia da Covid-19 ha messo in evidenza la necessità di una più solida cornice unitaria dei servizi sanitari regionali e di un potenziamento della capacità – politica e tecnica – di indirizzo programmatorio nazionale; è pertanto indispensabile espellere il tema Sanità dall’eventuale attuazione dell’autonomia regionale differenziata. La devoluzione regionale per come è stata realizzata si è rilevata un fallimento; la riforma del Titolo V della Costituzione appare quindi non rinviabile; anche il processo decisionale della Conferenza Stato-Regione deve essere reso efficace e trasparente.
La femminilizzazione della professione
Il sorpasso della componente femminile su quella maschile tra medici e dirigenti sanitari, impone che le Aziende mettano in campo politiche di conciliazione dei tempi vita/lavoro sfruttando gli strumenti del welfare aziendale. In particolare, bisogna puntare a un incremento di flessibilità negli orari di lavoro, a una concessione meno rigida di aspettative, part-time e congedi parentali, alla creazione di asili nido e promozione di attività per i figli nei periodi di chiusura delle scuole, eliminando ogni discriminazione, diretta e indiretta, nei confronti della maternità.
Un altro aspetto cui dare soluzione è quello della carriera delle donne medico e dirigenti sanitarie: solo il 16,5% delle strutture complesse nel SSN è diretta da figure femminili. Bisogna rompere il “soffitto di cristallo”, quella barriera invisibile discriminatoria che impedisce alle donne di avanzare nella carriera oltre certi livelli.
La necessità di nuovi assetti istituzionali della sanità pubblica
È necessario riconoscere ai medici un ruolo decisionale nella governance delle aziende, ripensando l’attuale modello, un potere assoluto verticistico e monocratico su cose e persone, ormai giunto al capolinea senza migliorare la qualità del servizio e senza mettere in ordine i conti, introducendo forme di partecipazione a modelli organizzativi e operativi che riprendano il tema del “governo clinico”.
Ridare centralità, autonomia e dignità alla componente professionale, oggi schiacciata dall’autoritarismo del pareggio di bilancio, dagli adempimenti burocratici e dagli obiettivi delle direzioni aziendali, non è una scelta del tavolo contrattuale ma è una scelta politica.
Sta alle parti politiche aprire un tavolo di confronto su questi temi. Chi vuole un SSN competitivo, efficiente, innovativo, deve attivare tutte le risorse professionali che lo compongono, non bastano i soldi del PNRR se gli attori della sanità pubblica saranno costretti a operare secondo modelli superati e anacronistici.
Conclusioni
Una politica senza visione e senza attenzione per i professionisti sanitari, che confidi solo nei bassi salari e negli strumenti della cultura aziendalistica, è destinata ad affossare un sistema sanitario (nazionale) tra i migliori del mondo.
Servono idee per un radicale cambiamento di paradigma sul ruolo e sullo status dei Medici e dei Dirigenti sanitari, che sono strategici nello sviluppo di un sistema complesso come quello sanitario. Dove il “capitale umano” conta quanto e più di quello economico. Lavorare in ospedale non deve essere una sofferenza perché il disagio crescente dei professionisti rischia di minare la sostenibilità del sistema sanitario.
Servono nuove risorse a loro dedicate, a partire dalla prossima Legge di Bilancio, e interventi legislativi che valorizzino il loro ruolo.
Serve un Contratto di lavoro, quello per il triennio 2019-2021, che non sia ordinaria amministrazione, a partire dall’entità degli investimenti necessari per il lavoro, che della sanità rappresenta il segmento più costoso e complesso, ma anche il più prezioso, se si vuole andare “oltre la pandemia”. Un CCNL da aprire al più presto per affrontare le prossime emergenze con strumenti e segnali adeguati, da chiudere nel più breve tempo possibile per avviare il “Rinascimento della sanità”. Anche così si combattono i virus, i rischi della recessione e si difende la salute pubblica.
È tempo di comprendere che il lavoro dei Medici del SSN e dei Dirigenti sanitari reclama, oggi e non domani, un diverso valore, anche salariale, diverse collocazioni giuridiche e diversi modelli organizzativi, che riportino i Medici e i Dirigenti sanitari e non chi governa il sistema, a decidere sulle necessità del malato. Il futuro della sanità può nascere solo da un impegno collettivo, da un confronto e un dialogo con le istituzioni per condividere un progetto comune. Noi siamo pronti.