Giovane condannato all’impotenza da una malformazione congenita rarissima dell’apparato uro-genitale, che riguarda nel mondo 1 persona su 100mila, è stato operato con successo da un team di eccezione formato dal prof. Vincenzo Mirone, primario dell’urologia del Federico II di Napoli, e dal prof. David Ralph dell’Andrology Unit University College Hospital London
“Il paziente – spiega il prof. Vincenzo Mirone, Ordinario di Urologia all’Università Federico II di Napoli e Primario Urologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria – era nato con una megalouretra congenita, una rarissima malformazione urogenitale caratterizzata dalla dilatazione e dall’allungamento dell’uretra del pene associata con una disgenesia dei corpi cavernosi, i responsabili dell’erezione del pene. Il problema riguarda nel mondo 1 persona su 100mila. La malattia causa un incompleto svuotamento delle urine, disfunzione erettile permanente, impotenza grave, tale da impedire il rapporto sessuale, e infine una grave insufficienza renale”.
Il rarissimo difetto congenito ha richiesto più interventi chirurgici. Il primo a sei mesi di vita e a seguire tre trapianti di rene effettuati tra mille precauzioni, perché il ragazzo è affetto anche da trombofilia, un grave problema della coagulazione del sangue, che con facilità può determinare la formazione di trombi che possono arrecare gravissimi danni all’organismo.
È proprio durante uno dei numerosi ricoveri per i controlli post trapianto che il ragazzo esprime il desiderio di poter avere una vita sessualmente normale e viene a sapere dal suo medico che esiste la possibilità di ricorrere alla protesi peniena, soluzione che ha poi felicemente trasformato la sua vita.
La richiesta viene subito accolta dall’Urologia dell’ospedale Federico II di Napoli, dove il prof. Vincenzo Mirone insieme al prof. David Ralph, dell’Andrology Unit University College Hospital London, eseguono per la prima volta in Italia su un paziente affetto da megalouretere l’impianto di una protesi peniena bicomponente, che provoca un’erezione del tutto simile a quella fisiologica.
“L’impianto – spiega il prof. Mirone – si basa sull’inserimento, all’interno dei corpi cavernosi del pene, di due cilindri cavi collegati a una piccola pompa di attivazione posta all’altezza dello scroto e a un serbatoio contenente del liquido. L’uomo può così ottenere un’erezione quando vuole, con sensibilità e capacità di orgasmo, premendo la pompa: in questo modo, il liquido contenuto nel serbatoio si trasferisce ai cilindri e il pene si indurisce; premendo di nuovo, il liquido passa dai cilindri al serbatoio e il pene ritorna in condizione di riposo. A dieci mesi dall’intervento (dove sono stati ricostruiti anche i corpi cavernosi malformati del pene) il giovane è pienamente soddisfatto, gode di buona salute, può avere rapporti sessuali come ogni altro ragazzo della sua età e ritiene che il risultato finale di un percorso tanto travagliato è quello che desiderava, sia da un punto di vista funzionale sia estetico”.
Secondo recenti statistiche ogni anno in Italia circa 3mila uomini soffrono di grave disfunzione erettile che non risponde alle pillole dell’amore e avrebbero bisogno di una protesi peniena ma solo pochi di loro posso operarsi. Per gli altri l’amore resta ‘negato’. In genere hanno superato i 50 o i 60 anni, ma alcuni non ne hanno neppure 40. Sono reduci da un tumore della prostata oppure soffrono di malattie cardiovascolari, diabete o disfunzioni che occludono le vene.
Nonostante molti studi scientifici dimostrino l’efficacia delle protesi con un elevato grado di soddisfazione per il paziente e per la partner, le protesi non sono molto diffuse in Italia. Sotto accusa la scarsa informazione, ma anche le difficoltà di accedere a un intervento non ancora abbastanza conosciuto nel nostro Paese.